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Un libro per guidare bene: come un generale dell’antica Roma

12 marzo 2010

L’ex pilota di F1 e psicologo Siegfried Stohr ha presentato il suo ultimo manuale di guida. Dove, in realtà, non si limita a spiegare come si guida un’auto: al volante la testa è più importante della tecnica. Ne abbiamo parlato con lui.

UNO STRANO DESTINO - Strano tipo Siegfried Stohr (nella foto qui sopra). Ha iniziato come psicologo ed è approdato alle corse solo in un secondo momento, arrivando fino alla Formula 1. Inoltre, come istruttore di guida sostiene che, per guidare bene, non si deve necessariamente andare piano, ma pensare come un generale dell’antica Roma, che sa valutare bene i propri mezzi e i propri limiti. In ogni caso, comunque, deve sapere quello che dice se la sua scuola di guida sicura GuidarePilotare, ha avuto circa 138.000 allievi ed è stata scelta in Italia dalla BMW per i suoi clienti.

IL LIBRO - Dopo 28 anni di esperienza sul campo come istruttore e due libri sulle tecniche di guida sicura, Stohr ha deciso di dare alle stampe un altro manuale di guida. In questo, però, non affronta solo l’arida tecnica ma anche i problemi collaterali, i dubbi e l’esperienza quotidiana della guida. Condendo il tutto con aneddoti e riflessioni sull’automobilismo e sullo stile di vita moderno. Alla presentazione di questo libro, intitolato “La Guida Sicura. Tecnica, psicologia e filosofia della guida” (edizioni Fucina), ne abbiamo approfittato per chiedergli la sua visione della guida a 360°.

Ex-pilota e anche laureato in psicologia: come ti hanno aiutato queste esperienze a scrivere questo libro?
Uno pensa che l’esperienza in Formula 1 sia stata importante, in realtà mi ha insegnato principalmente a capire che dietro gli errori di guida ci sono sempre motivi psicologici. La psicologia, a questo punto, mi è servita per comprendere l’importanza del “perché” di questi errori, le loro cause. Ad esempio, è fondamentale accorgersi di non aver frenato bene o di aver sbagliato a fare una curva;  ma è ancora più importante arrivare a scoprire “perché” non ho frenato o curvato bene, perché queste sono le vere cause degli incidenti.

Inoltre, quello che ho scritto nel libro l’ho imparato dai miei allievi. Io come pilota ero “ignorante”: spingevo l’auto al limite ma non avevo coscienza di cosa facevo né che tecniche usavo. Ero guidato dagli automatismi, quando pensiero e azione coincidono, e questi su strada come in pista sono essenziali. Ecco perché un neopatentato all’inizio non “guida” realmente: non avendo automatismi si concentra solo sulla leva del cambio o sugli strumenti. Se, però, apprende degli automatismi sbagliati sarà portato a ripetere l’errore all’infinito. Io da istruttore, ci ho messo 10 anni per prendere coscienza di cosa da pilota facevo automaticamente.

Hai una scuola di guida: cosa hai capito in questi anni nei quali hai visto arrivare decine di allievi?

Che tutti gli errori che facciamo sono errori percettivi: non vedo bene, non so usare bene gli occhi, non so valutare bene la distanza, non so interpretare cosa l’auto mi dice.

Cosa ha, quindi, di diverso questo libro dagli altri manuali di guida?
Questo è un libro che va oltre la tecnica, perché la sicurezza non è fatta solo di tecnica: la chiave di tutto è l’equilibrio mentale. Il guidatore sicuro di sé non è chi sa guidare bene, ma chi dispone di questo equilibro interno.

Il sottotitolo del volume è “tecnica, psicologia e filosofia della guida”: perché non basta l’esperienza di guida e quanto queste tre discipline influenzano la sicurezza alla guida?
La tecnica è la base: la prima dote di un buon guidatore è la stessa dei generali romani: la “prudentia”. Attenzione, però, questa parola non vuol dire “andare piano”, ma “saggezza”, intesa come conoscenza dei propri limiti e del “campo di battaglia” (la strada), e introspezione psicologica.

Cito spesso la frase “Mi prendo cura della mia auto come Achille delle sue armi. Non un solo granello di polvere deve appesantirla: da essa dipende la mia vita”. Anche questo è importante: l’auto va rispettata e conosciuta per poterne sfruttare le potenzialità appieno.

Infine, ci sono riflessioni filosofiche su che tipo di guidatori siamo, in che mondo viviamo. Ognuno di noi oggi passa il 10% della propria vita dietro il volante. Come lo viviamo questo tempo? Nella società di oggi spesso l’auto è l’unico posto dove dobbiamo davvero pensare.

Il libro è pieno di aneddoti: qual è quello che ricordi di più e che personalmente ti ha “formato” maggiormente?
Ricordo in particolare un episodio. Alcuni anni fa ero in auto con un’allieva che non riusciva a frenare energicamente. Io le dicevo di premere di più il pedale ma proprio non ci riusciva. Allora, le ho chiesto perché e lei mi ha risposto che aveva paura che l’auto si “puntasse” sul muso e si ribaltasse. Questo mi ha fatto capire l’importanza di fare le domande e del parlare con gli allievi, perché dietro a un errore ci possono essere mille motivazioni diverse e non si possono correggere gli errori se non sappiamo perché si fanno. Non basta dire “fai così” per essere un buon insegnante.

Com’è l’automobilista italiano e quali sono i suoi difetti più comuni?

Sembrerà strano, ma l’italiano alla guida è meglio degli stranieri. Questo perché l’Italia è un paese difficile nel quale guidare: ci sono pianure, monti, coste, colline e città caotiche. Come diceva lo scrittore Borges “Non esistono due monti uguali, ma la pianura ovunque è una e medesima”. Sostituite “monti” con “curve” e capirete il perché di questa mia affermazione.

In Olanda tutto è piatto: cosa si può imparare là? Oltre alla questione geografica, poi, l’italiano è psicologicamente più predisposto a trovarsi davanti l’imprevisto e ad affrontarlo.

Il più grande difetto, invece, è quello comune ai guidatori di tutte le nazionalità:  non sfruttano il potenziale dell’auto, in particolare i freni che oggi sono molto efficienti.



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Ritratto di Montanelli
12 marzo 2010 - 11:41
Ma cosa fa sulle striscia di mezzeria? Il test per vedere se è ubriaco? Scherzi a parte è vero, l'aspetto psicologico al volante è di grandissima importanza