INIZIO DELLE CAUSE DI GRUPPO - Dopo la causa intentata contro la Volkswagen dallo stesso dipartimento di Giustizia americano, negli Stati Uniti si è aperto il previsto capitolo delle class action, cioè le cause legali collettive promosse da gruppi di clienti della casa tedesca che ritengono di essere stati ingannati e chiedono di essere risarciti. Una di queste iniziative è stata avviata in California a nome di 200 proprietari di vetture del gruppo tedesco.
TONI PESANTISSIMI - La cosa potrebbe portare a pesanti costi economici per il gruppo Volkswagen, ma era sostanzialmente prevista e non stupisce. Clamorose appaiono invece le modalità con cui è stato redatto l’atto di accusa che ha dato il via alla causa collettiva. In pratica esse aprono una nuova prospettiva finora non presa in considerazione: quella di aspetti penali molto gravi. L’istanza depositata dagli avvocati chiede ai giudici di affrontare la vicenda come “uno dei più gravi crimini aziendali nella storia, una lezione istruttiva sugli obiettivi di successo a ogni costo”.
AUTORITÀ FEDERALI - Nel sostenere questa richiesta la denuncia sostiene che la magistratura deve affrontare la vicenda sulla base della normativa federale americana che tratta i traffici illegali, cioè lo stesso apparato giudiziario alla base delle inchieste contro la criminalità organizzata. Il ragionamento alla base di questa tesi è che il gruppo Volkswagen avrebbe agito di comune accordo con le società controllate americane, con i marchi VW, Audi e Porsche esattamente come in una autentica associazione a delinquere. E nel sostenere questa accusa gli avvocati patrocinatori della class action hanno coinvolto Martin Winterkorn, ex presidente del gruppo tedesco, e Matthias Muller, attuale capo del gruppo.
PUBBLICITÀ INFONDATA - Altro aspetto dell’atto di accusa presentato ai giudici californiani è la messa in relazione diretta del ricorso al software illegittimo per controllare le
emissioni di
NOx (
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