ATTACCO DAL NORD - La Norvegia contro la Volkswagen. Si potrebbe sintetizzare così la notizia diffusa ieri dal Financial Times a proposito dell’iniziativa decisa dal fondo d’investimento sovrano norvegese (cioè dello stato scandinavo) nei confronti del gruppo automobilistico tedesco: partecipare alla “class action” (causa collettiva) avviata in Germania contro la Volkswagen per le gravi perdite fatte subire agli azionisti del gruppo a causa della vicenda Dieselgate, le cui responsabilità sono ritenute tutte del management della casa automobilistica. La causa collettiva promossa in Germania vede già diverse adesioni importanti, tra cui quelle di rilevanti fondi di investimento, come l’americano Calpers - fondo-pensioni dei dipendenti pubblici della California - e il TCI Fund Management. Ai vari aderenti all’iniziativa si è ora aggiunto il fondo sovrano norvegese che gestisce grandissimi capitali e nell’azionariato della Volkswagen ricopre un ruolo di rilievo.
POTENZA ECONOMICA - Lo stato norvegese vanta una grande capacità economica grazie ai lauti guadagni realizzati con il petrolio del mare del Nord. A gestire questa montagna di denaro (850 miliardi di dollari) è la banca d’affari Norges Bank Investment Management, che detiene pacchetti azionari di svariate società nel mondo, tra cui il gruppo Volkswagen. Secondo le fonti internazionali l’Istituto norvegese ha nel proprio portafoglio l’1,64% del pacchetto azionario della casa automobilistica tedesca risultando così il quarto azionista della società (dietro la famiglia Porscvhe-Piech; il lander della Bassa Sassonia dove si trova la sede principale della casa automobilistica, e il fondo sovrano del Qatar). Da notare che nei gironi scorsi il fondo TCI aveva da parte sua avanzato critiche al top management della Volkswagen facendo chiaro riferimento ai ricchi emolumenti percepiti dai membri del board della società tedesca, sollecitando una loro decurtazione vista le gravi conseguenze della loro gestione del gruppo per quanto riguarda la vicenda Dieselgate.
QUESTIONI DI FONDO - Al fondo di questi movimenti nella finanza mondiale ci sono le critiche alla struttura societaria del gruppo Volkswagen, che ha un azionariato condizionato dalla presenza della mano pubblica (attraverso il Lander della Bassa Sassonia (che gode del diritto di veto) e dal peso dei sindacati (8 membri su 20 del consiglio di sorveglianza sono espressione appunto delle organizzazioni sindacali). In pratica da più parti si ritiene che la gestione della Volkswagen sfugga alle regole della sana amministrazione aziendale in quanto condizionata da questa anomala (rispetto al mondo economico più diffuso) realtà societaria.
PUBBLICO O NON PUBBLICO - Va comunque detto che l’anomalia della Volkswagen non è cosa recente ma risale molto indietro nel tempo, sino alla nascita della stessa società, alla fine della seconda guerra mondiale. E ovviamente era esistente nei periodi d’oro della società, quando gli azionisti percepivano fior di dividendi. Quanto alla presenza della mano pubblica, le polemiche sono ricorrenti, ma è anche vero che la crisi di qualche anno fa dell’industria automobilistica americana è stata superata grazie all’intervento della mano pubblica, così come in Francia lo Stato è presente (e si fa valere) sia nel gruppo Renault che in quello PSA.