OPINIONI SCIENTIFICHE - Da che la trazione elettrica è divenuta argomento d’attualità nel mondo dell’auto si discute sui suoi effettivi vantaggi ambientali. Il ragionamento di chi avanza dei dubbi prende le mosse dal bilancio delle emissioni di CO2 comprendente quelle che si registrano per la produzione del veicolo, delle batterie e dell’energia elettrica necessaria per le ricariche di energia elettrica durante l’uso della vettura. Nelle settimane scorse uno studio in materia è stato pubblicato dall’americano Journal of Industrial Ecology, ripreso poi dal quotidiano Wall Street Journal, a firma del professore danese Bjorn Lomborg, direttore del Copenhagen Consensus Center.
BILANCI COMPLESSIVI - L’articolo del Journal of Industrial Ecology presenta un’analisi delle emissioni sull’intero ciclo di vita dei veicoli e il risultato per l’auto elettrica è ben lontano dal concetto di “zero emissioni” su cui si basano le sue fortune ambientaliste. Complessivamente lo studio afferma che quando un’auto elettrica arriva a fine vita ha prodotto circa 13,6 tonnellate di CO2, mentre un veicolo convenzionale non va oltre le 6,5 tonnellate. Questo soprattutto per l’incidenza delle emissioni prodotte nella fase di produzione del veicolo. Ricordiamo che l'anidride carbonica non è nociva per l'uomo, ma prova il dannoso effetto serra che porta al surriscaldamento globale.
LE EMISSIONI PER PRODURRE I VEICOLI - Il primo elemento che viene messo in evidenza è infatti che le emissioni di CO2 durante la produzione di un veicolo elettrico ha un bilancio percentualmente molto più pesante rispetto a quello di un’auto convenzionale. Per quest’ultima viene detto che il 17% delle emissioni prodotte nella sua “vita” deriva dalla fase di costruzione (considerando anche quelle relative alla fabbricazione delle batterie e all’estrazione del litio); ciò mentre la produzione dell’auto con motore elettrico comporta 50% delle emissioni di CO2 del suo intero ciclo di vita.
LE EMISSIONI DELLE CENTRALI ELETTRICHE - Sfavorevole all’auto convenzionale sono i dati relativi all’uso della vettura, laddove all’auto elettrica vengono imputate le emissioni dovute alla produzione dell’energia elettrica necessaria per la ricarica delle batterie. Il confronto attribuisce all’auto elettrica l’emissione di 0,1 kg di CO2 per ogni chilometro percorso, mentre l’auto “termica” arriva a 0,21 kg. Ma attenzione: se l’energia elettrica è prodotta da centrali a carbone, allora l’auto elettrica arriva a 0,26 kg/km.
SECONDO LE PERCORRENZE - Cercando di trarre qualche conclusione, lo studio calcola che per una percorrenza complessiva di 80 mila km durante l’intero arco di vita della vettura, l’auto elettrica emette più CO2 rispetto all’auto convenzionale, mentre se la percorrenza totale è di 144 mila km, allora il veicolo elettrico è più virtuoso, emettendo il 24% in meno di CO2, pari a 8,7 tonnellate. La cosa è interessante, ma lo studio fa presente che il costo sociale di ogni tonnellata di CO2 emessa è di 5 dollari.
AUTO ELETTRICA OKAY. TRA 20 ANNI - L’articolo del Wall Street Journal conclude ricordando che per l’acquisto di un’auto elettrica negli Usa viene concesso un incentivo di 7.500 dollari e che alle aziende che si occupano di batterie e auto elettriche sono stati convessi finanziamenti per 5,5 miliardi di dollari. Più in prospettiva Lomborg sostiene che l’auto elettrica sarà certamente molto interessante tra una ventina d’anni. Con ciò la vera sfida è trovare nuove fonti di energia non fossili, per le quali occorrono grandi sforzi e finanziamenti. Di contro, pensare a veicoli elettrici di piccole dimensioni è “come mettere il carro davanti ai buoi”.
DI CHI È LA RICERCA - Restano un paio di curiosità. Che cosa e di chi è il Journal of Industrial Ecology e che cosa è il Copenhagen Consensus Center. E internet risponde a tutto: il “Journal” è un magazine dell’Università di Yale, edito da MIT Press, cioè dal mitico Massachusetts Institute of Technology. Quanto al Copenhagen Consensus Center è un un’organizzazione no profit “think-tank” che studia e pubblica ricerche “sul miglior modo per governi e filantropi di finanziare e aiutare lo sviluppo”. Il suo direttore Bjorn Lomborg (autore dell’articolo sul Wall Street Journal) è “noto per le sue opinioni scettiche sul fenomeno del riscaldamento globale”.