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Roberto Giolito, responsabile di FCA Heritage

Pubblicato 10 ottobre 2019

"Negli ultimi vent’anni si è coltivato sempre di più il Dna aziendale, che ora coinvolge l’intero design degli esterni e, soprattutto, degli interni".

Roberto Giolito, responsabile di FCA Heritage
INTERVISTA
Roberto Giolito Dalla matita di Roberto Giolito sono nati alcuni tra i modelli Fiat più famosi, dalla Multipla alla moderna 500, senza dimenticare l’ultima generazione della Panda. La sua visione sui cambiamenti delle auto non può che partire dal design…

Che cosa ha influenzato più profondamente il design automobilistico in questi ultimi vent’anni?
Trovandomi spesso coinvolto nello studio dei trend del momento e nell’analisi degli scenari futuri, ritengo che la tendenza che ha maggiormente condizionato il design automobilistico negli ultimi vent’anni sia stata la valorizzazione dell’identità del marchio. Non sto parlando di un fenomeno retrò, a cui attribuisco poco valore, in quanto riutilizza stilemi già visti. Parlo invece della creazione di un vero e proprio linguaggio stilistico, capace di donare un’identità alle vetture di una determinata casa automobilistica. Negli ultimi vent’anni si è coltivato sempre di più il Dna aziendale; e se prima questo fenomeno riguardava quasi esclusivamente le mascherine delle auto, ora coinvolge l’intero design degli esterni e, soprattutto, degli interni.

Si tratta di un recupero delle radici storiche reinterpretate in chiave moderna?
Si tratta di sviluppare un linguaggio stilistico ispirato ai momenti di maggiore successo della casa automobilistica, caratterizzati da una forte identità. Quando abbiamo progettato la moderna Fiat 500 del 2008, evidentemente, abbiamo creato una soluzione inedita; non abbiamo potuto mantenere lo schema tecnico della 500 originale, poiché non avremmo potuto offrire un buon prodotto. Tuttavia, il linguaggio stilistico è sempre riconoscibile e identificabile, racchiuso in una formula che prevede alcuni elementi distintivi come i doppi fari anteriori e alcuni dettagli interni. Inoltre, questo linguaggio deve prescindere dai diversi pianali e dalle architetture utilizzate. Con la 500, per esempio, abbiamo scoperto che tra l’auto e il cliente si era stabilito un rapporto ideale, positivo e rassicurante. Guarda a caso proprio a bordo di una citycar. Così lo stesso stile è stato ulteriormente sviluppato per essere utilizzato su vetture molto diverse come la 500X e la 500L, ricreando una simile esperienza d’uso. La 500 quindi non è un’operazione retrò ma la creazione di una determinata espressione di una casa automobilistica e di una gamma di modelli. In questo caso il design dell’auto corrisponde ad un’esperienza d’uso gratificante e senza stress. Invece, per altre case automobilistiche l’identità è passata dalla ripresa di forme e proporzioni precise. Per esempio, la silhouette della 911 è sopravvissuta indenne al passaggio delle epoche, pur dovendo ricorrere a tante nuove tecnologie per restare al passo con i tempi.

Confrontando un’auto di vent’anni fa con una recente, si nota una maggiore complessità delle forme attuali. A cosa è dovuto il cambiamento?
Una volta era prassi comune andare in galleria del vento e definire i dettagli della carrozzeria, utilizzando dei fili di lana attaccati a una canna da pesca. Se il filo di lana esposto al getto d’aria rimaneva “sdraiato” sul tetto puntado verso la zona posteriore della vettura, significava che i flussi filavano lisci e aderenti alla carrozzeria. Al contrario, se “impazziva” e puntava verso l’altro rivelava delle turbolenze. Senza le tecnologie moderne era impossibile disegnare le forme complesse e gli “scalini” che tanto aiutano ad “addomesticare” i flussi d’aria, come invece avviene oggi. Ma c’è un rovescio della medaglia; il disegno della vettura dipende molto dai software di simulazione ed è lasciato ai progettisti e ai designer l’arduo compito di riproporre questi risultati aerodinamici con linee più semplici e pulite, un po’ come quelle di un tempo che a volte rimpiangiamo. Forse in un futuro prossimo lo sviluppo della meccatronica permetterà alle superfici della carrozzeria di modificarsi in base alle velocità; a quel punto sarà possibile tornare a linee più semplici, ma allo stesso tempo efficaci anche ad andature elevate. Un esempio semplice, già ampiamente utilizzato, è l’integrazione degli spoiler retrattili; risolvono delle piccole criticità dell’aerodinamica della vettura evidenziate in fase di progettazione.

Un altro cambiamento importante ha riguardato le luci, in particolare l’uso di led. Quali ripercussioni hanno avuto nel vostro lavoro?
Negli ultimi vent’anni sono avvenuti diversi cambiamenti nell’illuminazione delle auto. Prima sono arrivati i fari poliellittici: hanno ridotto l’ampiezza della superficie luminosa e migliorato la potenza d’illuminazione, grazie a una più potente riflessione della luce all’interno del faro. Il problema legato a questa tecnologia riguarda, però, la maggiore profondità del proiettore, che comporta nuove criticità di progettazione e dislocazione delle componenti nel cofano. Oggi con i led abbiamo dei fari che durano per sempre e occupano meno spazio. Ma non abbiamo risolto tutti i problemi di complessità e di peso. Infatti hanno bisogno di molte componenti elettroniche e di dissipatori del calore. Per capire cosa c’è dietro alla progettazione dei proiettori non basta vederli da fuori; bisogna sapere cosa c’è dietro. Per quanto riguarda l’evoluzione stilistica delle luci posteriori, la novità più importante è stata la divisione in sottogruppi: posizione, indicatore di direzione retromarcia e retronebbia. Ma, visto che non devono illuminare ma solo farsi vedere, il mio sogno è che in futuro si arrivi a dei fanali “sotto pelle”, in tutt’uno con la carrozzeria. Per esempio con il restyling della 500 ho iniziato ad integrare degli elementi della carrozzeria al loro interno.

Nell’abitacolo, invece, qual è il maggior cambiamento tra il 1999 e il 2019?
Sicuramente l’avvento della strumentazione digitale. Non solo come dispositivo di lettura - lo era già da tempo su alcuni modelli - ma come schermi con cui interagire. Le auto si stanno trasformando in “regie televisive”; questo ha portato ad un grande dibattito tra cosa si deve comandare via touchscreen e cosa lasciare ai comandi fisici. Il prossimo passo riguarderà l’interazione del guidatore con le informazioni direttamente proiettate sul parabrezza; così, si eviteranno distrazioni molte pericolose. E anche quando l’avanzamento tecnologico dei sistemi di ausilio alla guida permetterà una maggiore autonomia dell’automobile, si continuerà comunque a guardare fuori dai finestrini e magari sarà possibile proiettare dei contenuti digitali in modo da non soffrire il mal d’auto.

Che sfide pone al designer l’irrobustimento dell’auto per superare i sempre più severi crash test?
Da un lato le sembianze delle auto negli ultimi anni si sono avvicinate sempre di più al volere dei designer. Per esempio, le ruote di dimensioni maggiori e la riduzione degli sbalzi anteriori e posteriori. Dall’altro le normative europee sull’impatto con i pedoni e quelle per la sicurezza negli scontri frontali hanno imposto un certo volume d’aria sotto al cofano e una certa struttura di deformazione nella zona anteriore. Queste norme sono il “campo minato” del designer; per questo io consiglio sempre ai miei collaboratori di partire da bozzetti già plausibili, che non richiedano enormi correzioni in fase di progettazione per adempiere alle normative. Inoltre, l’avvento dei sensori e delle telecamere per gli ausili alla guida attiva richiedono un nuovo sforzo al designer: bisogna infatti integrarli nella maniera più elegante e discreta possibile sul frontale dell’auto.
Roberto Giolitoh


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