Nella calura ferragostana, interrotta da qualche nubifragio tropicale, rischia di passare inosservata la ricorrenza della morte di Enzo Ferrari, occorsa il 14 agosto 1988 (ero quindicenne, ricordo benissimo). Quello che per molti è stato il "Drake" è il classico esempio – si direbbe oggi - del “self-made man”, un Uomo che si è costruito da solo il proprio successo, sebbene le sue origini non fossero altisonanti, non fosse scolasticamente un elemento di prim’ordine e pur avendo perso precocemente sia il padre Alfredo che il fratello Dino (alias Alfredo junior). Ma la sua passione era una ed una soltanto, l’Auto e dedicò la sua vita a realizzare questo sogno, che poi è diventato il sogno di una moltitudine infinita di persone che ha portato il logo della Casa automobilistica Ferrari a livelli di conoscenza universali. Ma, come detto, ciò non gli fu facile, almeno agli inizi: dalla mancata assunzione in Fiat (1919) alle prime corse (1920) passarono pochi mesi, poi 3 anni (1923) ed ecco che la madre dell’eroe aviatore Francesco Baracca gli dona il simbolo del figlio, il “Cavallino Rampante”, logo che si fonderà indissolubilmente con il nome del “Drake”. Altri 6 anni (1929) ed ecco gli albori della “Scuderia” per antonomasia nascere come novella Eva dalla costola della Squadra Corse Alfa Romeo, compagine per la quale Enzo aveva pure corso finché il Biscione restò nelle competizioni. Di li creò una prima fabbrica (1937) a Modena ma un’altra guerra si frappose alla realizzazione del suo Sogno. I bombardamenti lo costrinsero a “delocalizzare” a Maranello, fortunosamente da allora divenuta La Mecca dell’automobilismo sportivo. A guerra finita, come un po’ tutto, anche l’automobilismo riprese vita e nel 1950, col primo Mondiale di F1 ecco le Ferrari fagocitare lentamente la più blasonata Alfa Romeo (immaginate quanto mi costi scriverlo…) e, gara dopo gara, mondiale dopo mondiale, ecco assurgere la Scuderia Ferrari a quell’icona indiscussa che tuttora è. Vide purtroppo anche periodi bui, quelli che spesso capitano nei cicli sportivi come in quelli umani. Morì defilato dalla mondanità, sfiorando di poco l’incontro con Giovanni Paolo II recatosi in visita a Maranello quando lui era già troppo malato, e perse di un mese la doppietta Ferrari a Monza (Berger ed Alboreto), vera mosca bianca visto che quell’anno la Mc Laren vinse 15 gare su 16… Immagino che per la circostanza avrebbe detto la sua solita frase, quella con cui vi lascio <<quale sia stata la vittoria più importante di un’autovettura della mia fabbrica? La vittoria più importante sarà la prossima!>>. Ciao Drake, grazie di tutto.