CONVEGNO DI SUPERBOSS - I capi delle case tedesche si sono riuniti a Berlino non per una qualche conferenza o qualche salone, ma per avviare una azione di lobby comune volta a spingere le autorità comunitarie europee e quelle degli Stati Uniti a darsi norme comuni per ciò che riguarda l’omologazione delle auto. Al meeting hanno partecipato Bernhard Mattes della Ford Werke tedesca, Rupert Stadler dell’Audi, Dieter Zetsche, Norbert Reithofer della BMW, Mattias Wissmann dell’associazione tedesca dei costruttori, Mattias Mueller della Porsche, Volkmar Denner della Bosch. Come si vede davvero il Gotha dell’industria tedesca (ma non solo) dell’auto.
TTIP IL NOME DELL’OBIETTIVO - L’argomento in discussione ha anche un traguardo preciso; si chiama TTIP, cioè Transatlantic trade and investment partership che i costruttori europei vorrebbero fosse definito tra le due sponde dell’Atlantico per arrivare a una unica regolamentazione di tutto ciò che è necessario per omologare e vendere un’automobile.
QUALCHE ESEMPIO DI DIVERSITÀ - Nel corso della conferenza stampa tenuta per dare risalto all’iniziativa sono state citate alcune delle differenze esistenti tra le due legislazioni. Per esempio, nelle prove di crash test in Europa il manichino del passeggero deve avere le cinture di sicurezza indossate, mentre negli Stati Uniti ciò non è richiesto. Diverse sono le caratteristiche degli specchietti retrovisori. Differenti sono anche i requisiti richieste dalle due normative per i gruppi ottici posteriori. E così per numerosi altri particolari.
TUTTO DOPPIO - “Certamente gli standard richiesti alle auto americane ed europee sono i più severi al mondo, ma sono diversi, e per raggiungere gli obiettivi richiesti noi costruttori dobbiamo progettare due volte, sviluppare due volte, testare due volte, omologare due volte. E tutto questo cosa molto denaro” ha detto Dieter Zetsche, amministratore delegato della Daimler.
MAGGIORI COSTI PER 5 MILIARDI - Più precisamente i leader delle case costruttrici tedesche hanno quantificato in circa 5 miliardi di euro i risparmi possibili con una razionalizzazione unificante delle normative vigenti negli Usa e nell’Unione europea, un risparmio che potrebbe consentire nuovi investimenti, maggior sicurezza e nuove opportunità di lavoro.
DIFESA DEGLI INVESTIMENTI - Va anche detto che l’argomento comprende un aspetto che con la tecnica e con le opportunità occupazionali c’entra poco. In discussioni tra le due parti dell’oceano Atlantico c’è anche le modalità di affrontare i casi in cui le autorità vietino la vendita di un prodotto (come può succedere appunto per problemi di sicurezza e omologazione). Da parte degli Stati Uniti si chiede che ci sia una maggior protezione per gli investitori che ovviamente dai divieti subiscono un danno, mentre da parte europea si è restii a riconoscere un tale approccio.
LOTTA AI BALZELLI - Altra questione aperta su cui le case automobilistiche tedesche vorrebbero avere un accordo di maggior apertura tra le parti, è quella dei diritti doganali richiesti dalle due realtà per l’importazione dei prodotti provenienti dalla controparte oltreoceano. Negli Usa l’importazione degli autoveicoli è soggetta a una tassa doganale che va da un minimo del 2,5% a un massimo del 25% (quest’ultima aliquota per i camion pesanti). D’altro canto la BMW, per fare esempio, per importare le X5 prodotte negli Usa deve pagare un balzello del 10%. Tra gli obiettivi dell’azione di lobby delle case tedesche c’è anche l’eliminazione di questi vincoli che ostacolano l’attività e gli investimenti (da ricordare che le iniziative del TTIP e delle garanzie per gli investitori sono concepite principalmente nell’ottica di proteggere chi investe, anche se indubbiamente ne beneficerebbe anche il cliente finale grazie alla riduzione dei costi resa possibile dalla razionalizzazione degli standard di omologazione.