QUALCOSA È CAMBIATO - Fra le soluzioni per ridurre inquinamento, traffico e problemi di parcheggio, il car sharing è una delle più recenti; si utilizza un’auto appartenente a una delle società che offrono questo tipo di servizio, prenotando quella più vicina, “sbloccandola” e pagando quanto dovuto tramite app. Il car sharing ha avuto una rapida diffusione dopo il 2010 e fino all’inizio del 2020, quando la pandemia da Covid-19 ha cambiato le carte in tavola: all’inizio perché era vietato uscire di casa e in una seconda fase per la diffidenza verso l’utilizzo di veicoli usati anche da altre persone, nata dal timore del contagio.
Chi lavora da casa ne ha meno bisogno
Anche lo smart working, arrivato durante la pandemia, non aiuta la crescita di questo settore: meno persone si devono recare in ufficio, minori sono le esigenze di trasporto. A tutto questo si aggiungono alcune problematiche tutte italiane, almeno secondo Assosharing (l’Associazione italiana di categoria del comparto sharing mobility). Abbiamo fatto il punto della situazione con Luigi Licchelli (nella foto qui sopra), che ne è presidente (nonché responsabile per lo sviluppo in Italia di Share Now e Free2move, società del gruppo Stellantis).
Di quali problemi soffre il car sharing in Italia?
Innanzitutto, ci sono politiche locali scarsamente incentivanti: molti Comuni, per esempio, regolano in maniera molto dettagliata il nostro settore, mettendo dei “paletti” che non ci aiutano. Ci dicono, per esempio, l’area all’interno della quale possiamo operare e quale tipo di motore devono avere le nostre auto (ibride, elettriche) e impongono anche una determinata densità di veicoli per km quadrato (e questo è un grande costo per noi, perché dobbiamo predisporre continui spostamenti delle vetture) e dei canoni di presenza. Alcune amministrazioni ci costringono a comprare veicoli elettrici, ma sul suolo pubblico non ci sono colonnine.
C’è poi una questione puramente fiscale…
Sì. Siamo soggetti al 22% di IVA, mentre taxi e NCC non la pagano. Questo crea uno squilibrio di mercato e porta le aziende a non investire in Italia.
Quanto alle corsie preferenziali e ai parcheggi?
Altro esempio di penalizzazione ingiustificata del car sharing: taxi e NCC (e in alcune città anche ciclomotori e motocicli) possono circolare nelle corsie preferenziali, non le auto condivise. Onestamente è difficile capire perché, dal momento che ogni auto condivisa ne toglie dalla strada alcune private.
Ci sono Comuni che credono di più nel car sharing?
Un esempio è Parma. Per tutti i residenti nel Comune, ma anche per i giovani fra 18 e 30 anni della provincia, ha predisposto dei buoni di utilizzo: comprando 25 euro di utilizzo prepagato, vengono accreditati 50 euro. A Bergamo, invece, le auto del car sharing possono accedere alle Ztl (escluse le vie interne della Città Alta, ndr) e alle corsie preferenziali e usufruiscono di parcheggi gratis negli stalli di sosta blu e gialli. Inoltre, è più facile avviare un nuovo servizio di mobilità in condivisione.
Dal punto di vista invece nazionale qualcosa si muove?
Stiamo parlando con il Governo: a noi, per esempio, basterebbero 16 milioni di euro, che in una legge Finanziaria sono davvero poca cosa, per portare l’IVA al 10%. E per tutta la sharing mobility, inclusi biciclette, monopattini e scooter elettrici.