COME FOSSE UNA AZIENDA - Secondo il nostro ordinamento la cosa è incomprensibile, ma evidentemente negli Stati Uniti le questioni economiche degli enti locali sono diverse da quelle italiane e le municipalità sono assimilate alle aziende di cui può essere dichiarato il fallimento. È quel che è successo a Detroit, la capitale americana dell’automobile che ieri ha appunto dichiarato il fallimento. La dichiarazione non è di un tribunale, ma della stessa amministrazione cittadina, che l’ha fatta ieri sera. La decisione è stata presa da una sorta di commissario prefettizio che qualche mese fa aveva sostituito il sindaco e il consiglio comunale.
L’ARTE PER FARE CASSA - In pratica, con tale atto gli amministratori possono avviare iniziative atte a “fare cassa” e con il ricavato pagare i debiti, che ammontano a circa 19 miliardi di dollari (14,5 miliardi di euro). Tra le cose possibili fanno notizia la possibile vendita delle opere d’arte dei musei comunali. E si citano nomi come Van Gogh, Degas, Caravaggio, Matisse, Rivera… Il Detroit Institute of art è è uno dei più ricchi degli Stati Uniti: il suo valore è stimato in diversi miliardi di dollari e secondo le norme americane, i creditori del Comune possono chiedere la vendita delle opere d’arte da esso possedute. Oltre a ciò è possibile vendere eventuali attività, e perfino tagliare i compensi dei dipendenti, che è un’operazione difficile non soltanto ad Atene.
SPUNTO DI RIFLESSIONE - Con i guai che ci sono in Europa e in Italia, si potrebbe dire che ci sono altre cose a cui pensare che non alla città del Michigan. Ma il fatto che Detroit sia identificata ancora come la capitale dell’industria americana dell’auto e sia comunque arrivata a questa situazione fa notizia e ancor di più riflettere.
CROLLO DELL’AUTO E DI ABITANTI - La parabola di Detroit può essere sintetizzata in pochi dati: nel 1950 la città contava 1,8 milioni di abitanti; oggi ne ha appena 700 mila, in conseguenza della forte delocalizzazione dell’industria automobilistica, un po’ in conseguenza dell’arrivo in America delle case giapponesi prima ed europee dopo, un po’ per l’esigenza di trovare siti produttivi più convenienti.
BUCO FISCALE - In una situazione del genere, e con le evidenti conseguenze della crisi dell’auto di quattro anni fa, per la città è impossibile riuscire a introitare attraverso i tributi quanto gli occorrerebbe. E ciò già da parecchi anni, tanto che la struttura urbana si è trasformata per buona parte in una città fantasma e il vortice dei debiti del Comune non ha potuto che crescere sino all’impressionante “buco” di oggi.
PARALLELI NOSTRANI - Capitale dell’auto, debiti soffocanti, vendita di musei… Quasi inevitabile allora pensare alle vicende di casa nostra, con le cronache recenti relative alle condizioni in cui versa il Comune di Torino. 911 mila abitanti, gli stabilimenti Fiat molto meno attivi che nei decenni passati, l’amministrazione comunale con un bilancio “in rosso” di 3,4 miliardi di euro, una situazione complicata in materia di società a partecipazione comunali che coinvolge altre città come Genova e Reggio Emilia. E nelle varie cronache sull’argomento colpisce la totale assenza della Fiat, che pare ormai fuori dagli ambienti del potere cittadino (e che di fronte al dissesto finanziario come quello del Comune probabilmente è ben contenta di esserlo). Insomma, la vicenda di Detroit può essere emblematica di quale possa essere l’evoluzione delle situazioni difficili indotte dalla grande crisi.