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Il fallimento della Northvolt mette nei guai Porsche e Audi

Pubblicato 06 dicembre 2024

La Porsche potrebbe rinviare il lancio della nuova 718 elettrica e anche l’Audi avere problemi nella catena di approvvigionamento.

Il fallimento della Northvolt mette nei guai Porsche e Audi

CRISI PROFONDA - Il settore automobilistico europeo contava molto sulla Northvolt per porre fine alla dipendenza dalla fornitura cinese di batterie per le proprie auto elettriche. Tuttavia il progetto sembra andare incontro al fallimento, tanto che l’azienda ha dichiarato bancarotta secondo il Chapter 11 negli Stati Uniti, dopo aver perso investitori cruciali come la BMW. E si dice addirittura che a salvarla dal crack definitivo potrebbe arrivare proprio la CATL, colosso cinese leader nella produzione delle batterie. I problemi finanziari della Northvolt potrebbero causare ritardi nel lancio di alcuni modelli elettrici, prima fra tutti la prossima Porsche 718 (qui per saperne di più), sia Cayman che Boxster.

BATTERIE PICCOLE E LEGGERE - La nuova sportiva elettrica, prevista entro la fine del prossimo anno, faceva molto affidamento sulle batterie ad alta densità energetica della Northvolt, riporta il quotidiano economico tedesco Handelsblatt: poter disporre di una buona capacità energetica in “pile” di dimensioni contenute è molto importante soprattutto per le vetture sportive perché si limita il peso della batteria. In particolare sulle nuove Cayman e Boxster gli accumulatori sono posizionati nella stessa zone in cui sui modelli attuali c’è il motore a scoppio, quindi tra le ruote centrali e l’abitacolo, replicando il layout tipico di un’auto a motore centrale. 

L’AUDI È PIÙ TRANQUILLA - La Porsche potrebbe non essere l’unica casa automobilistica a soffrire: anche l’Audi ha un accordo con la Northvolt per alimentare modelli basati sulla piattaforma PPE, tra cui l’A6 e-tron. Tuttavia la questione per la casa dei quattro anelli sarebbe meno preoccupante, perché parallelamente sta acquistando batterie anche dalla CATL e dalla LG. 



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Ritratto di Flynn
6 dicembre 2024 - 18:32
2
Mamma li cinesi !
Ritratto di Miti
7 dicembre 2024 - 19:05
1
Audi è più tranquilla...anche io mi sto tranquillizzando adesso...cavolo che spavento ?!?!
Ritratto di Raf2
6 dicembre 2024 - 18:51
vorrei riuscire a dimostrare che nella ruota (dei veicoli) che gira è possibile "spremere" altra energia sfruttando la forza peso e lo schiacciamento a terra dello pneumatico (almeno 300 kg.)senza" rubare " niente alle batterie. Se avete un ingegnere con un po' di fantasia proponetegli il quesito: se la ruota avesse, al posto delle razze, delle pompe di bicicletta collegate ad un pallone da gonfiare, andando a 50 km/h, cioè 15 cicli al secondo ce la farebbero a gonfiare il pallone senza rallentare l'auto?. Immaginate se al posto delle pompe mettiamo ammortizzatori elettrici o elettrocalamite o bobine elettriche all'interno di molle si produrrebbe energia elettrica capace di prolungare la durata della carica della batteria? Mi dicono che voglio cambiare i principi della Fisica...ma ricerca per dimostrare che non funziona niente da fare..
Ritratto di Tistiro
6 dicembre 2024 - 19:56
Così a spanne è un po' la stessa roba della generazione di corrente su asfalto tecnico tramite passaggio degli autoveicoli, tuttavia ciò causerebbe maggior consumo di energia ai veicoli stessi perciò andrebbe applicato solo in punti dove i veicoli sarebbero in ogni caso costretti a rallentare, per esempio caselli o uscite autostradali. Non vorrei che nel caso da te citato si recuperi meno di quanto si consumi per tutto il meccanismo. Mi fermo qua
Ritratto di Tistiro
6 dicembre 2024 - 20:03
Anzi vado avanti. Lo pneumatico perché si scalda col rotolamento? Perché subisce continue compressioni e decompressioni ad ogni mezzo giro e trasforma (perdendola) una parte di energia cinetica in calore. Ecco se lo pneumatico fosse in lega come le razze e non di gomma dissiperebbe molto meno calore, quindi energia cinetica del veicolo. Perciò se le razze fossero "pompette" consumerebbero energia cinetica della batteria recuperandone sicuramente meno di quella consumata (anche le pompette produrrebbero calore). La razza rigida invece non perde niente.
Ritratto di Raf2
7 dicembre 2024 - 11:29
Cosi quelli della Goodyear che mettono il piezoelettrico all'interno dello pneumatico o quelli che ricaricano il il telefonino con le scarpe sono dei perditempo?
Ritratto di Tistiro
7 dicembre 2024 - 11:41
Nello pneumatico si disperde energia da recuperare. Nelle razze non si perde niente
Ritratto di Raf2
7 dicembre 2024 - 12:12
Ci sono sempre 300 kg. Che si posso comprimere gratis
Ritratto di Tistiro
7 dicembre 2024 - 12:29
Lo dici tu che si comprimono gratis. Per essere gratis significa che c'è uno spreco. Dovresti trovarlo prima di dire gratis. Per esempio nella frenata rigenerativa si produce gratis un po di energia solo perché si recupera quella che sarebbe sprecata frenando (in calore delle pinze/dischi). Nelle razze dove è lo spreco? Lo spreco casomai è nello pneumatico che si scalda oltre che per attrito anche per compressione e decompressione. Ma il tuo intento è recuperare dalle razze, quindi dive è lo spreco nelle razze?
Ritratto di Raf2
7 dicembre 2024 - 12:43
Se sostituiamo lo pneumatico con molle tarate ed elettrocalamite può funzionare? A terra andrebbe un anello di gomma e acciaio flessibile come quella dei muletti così avremmo anche altri vantaggi come fine degli scoppi e catene da neve integrate.
Ritratto di Tistiro
7 dicembre 2024 - 12:55
Rischi di recuperare energia sprecandone però piu di prima. I 300kg che nomini ci sono sia a macchina in movimento che ferma. Pertanto lì non puoi produrne di gratis, puoi produrla se vuoi ma consumandone altrettanta e anche di piu. È come mettere una dinamo sul cerchione della bici: produci energia luminosa ma ne hai dovuto aggiungere dell altra per farla funzionare. Diverso il discorso se devi frenare: metti la dinamo (che ti rallenta) recuperando energia cinetica che andrebbe persa frenando.
Ritratto di Raf2
7 dicembre 2024 - 13:12
Ricerca è provare, sbagliare e correggersi. Spero che qualcuno voglia farlo Senza vestirsi da Napoleone.
Ritratto di nialex
10 dicembre 2024 - 09:10
Sono d'accordo con Tistiro. Ci sono tanti modi per recuperare energia gratis. Ma la soluzione che proponi tu non è fattibile. Premettendo che qualsiasi cosa aggiungi sulle ruote per fare energia è un peso aggiuntivo che ti porti dietro, e più peso implica più consumi. C'è da vedere se se questo sistema potrebbe produrre più energia di quanto ne consuma. Un qualsiasi sistema o di pompe o piezometrico ha bisogno di energia. Questa energia in qualche modo deve essere prodotta. Funziona in frenata ma le auto elettriche ormai hanno la frenata rigenerativa
Ritratto di Raf2
10 dicembre 2024 - 09:41
Per favore qualcuno può fare una prova per dimostrare sì o no? Ci sono biciclette che funzionano con ruote triangolari o quadrate. Credibile ?
Ritratto di CR1
7 dicembre 2024 - 04:22
Perché complicarsi la vita con le pompee o con altri costosi alternatori hanno già inventato >>>>> tps://www.tecnoandroid.it/2022/05/08/energia-gratuita-e-illimitata-in-casa-ecco-il-motore-elettromagnetico-1065063/ >>> basta la spinta iniziale e se parti da Aosta ti fermi all'imbocco del ponte di Messina per il pedaggio
Ritratto di Gasolone xv
6 dicembre 2024 - 20:15
Pajasssss
Ritratto di Sdraio
7 dicembre 2024 - 13:56
AHAHAHAHAHAH... IL COMMENTO PIù AZZECCATO...ahahahahahah... pagliacci... come tutti quelli che sposano amano o sostengono questa politica greeeeeen... ahahahahahah... che strano che fallisca una cosa per il futuro... ahahahahahahah
Ritratto di Tistiro
6 dicembre 2024 - 20:21
Crolla tutto, bisognerebbe porvi rimedio.
Ritratto di Ennio78
6 dicembre 2024 - 21:30
Mah anche se la 718 elettrica arrivera' un po' dopo nessuno si strappera' i capelli dalla disperazione.
Ritratto di markb
6 dicembre 2024 - 23:28
e sarebbero oltretutto pochi quelli che se ne accorgerebbero
Ritratto di Lorenz99
6 dicembre 2024 - 22:56
FOSSI IN PORSCHE EVITEREI DI PRESENTARE LA 718 PER EVITARE UN FLOP, TOLTA LA MITICA 911 PORSCHE È DI FATTO UN BRAND DA SUV. IL PARADOSSO CHE SFIDANO BYD E CATL, E POI È PROPRIO QUEST'ULTIMA A COMPRARLA(VISTO CHE GODE DEI CREDITI INFINITI DI XI NJIPING). DATO CHE POLITICA E MEDIA SONO AL SERVIZIO DELLA DITTATURA CINESE, L'UNICA DIFESA DI NOI CITTADINI, È BOICOTTARE (NEI POCHI SETTORI ANCORA DISPONIBILI) L'ACQUISTO DI MADE IN CHINA, ALLA PEGGIO MEGLIO BANGLADESH VIETNAM ECC. CHE NON HANNO VELLEITÀ DI DISTRUZIONE E DOMINIO ECONOMICO MONDIALE. QUESTI CI IMPLODONO UN SITO PRODUTTIVO OGNI SETTIMANA, MA NOI CI PREOCCUPIAMO DEI BOMBARDAMENTI DI PUTIN.
Ritratto di CR1
7 dicembre 2024 - 05:35
URLATORE guarda qui , altra pesante tegola caduta in testa dalla stella ps://www.msn.com/it-it/notizie/politica/la-nuova-stellantis-di-elkann-chiude-tutti-i-contratti-con-trasnova-licenziati-97-lavoratori-schlein-inaccettabile-meloni-intervenga/ar-AA1vnK34?ocid=msedgntp&pc=U531&cvid=be0418aa4a2941e0bf18bac0260fa13a&ei=71 >>>>> certo che se te ne frega.niente dei matti che bombardano e ammazzano sei come uno struzzo con la testa nella sabbia disposto a 90" aperto al pubblico ::::
Ritratto di Sherburn
7 dicembre 2024 - 17:25
La smo era facilmente evitabile, bastava copiare la Finlandia del dopoguerra. Se però per voi il nazionalismo ruteno-galiziano è foriero di democrazia e prosperità... che dire... auguri.
Ritratto di CR1
7 dicembre 2024 - 19:29
Non è che t ho ben capito ,
Ritratto di Gordo88
7 dicembre 2024 - 11:40
1
Mi raccomando che la ue faccia nulla per provare a salvare l' azienda..
Ritratto di Sherburn
7 dicembre 2024 - 17:30
Ma tanto lo scopo, l'obiettivo ultimo dell'UE è la vita da hikikomori. I più bronco, i vecchi boomer, potranno allontanarsi max 15 minuti di monopattino dall'abitazione. Schlein e soci fanno ridere, è un'ammuina per non dire subito : "a casa, forza, e muti!" - "aspettate la sbobba consegnata via drone e nel frattempo non rompete!"
Ritratto di Dheghe
7 dicembre 2024 - 14:40
Forse se al posto delle batterie nelle auto ci mettiamo un bel serbatoio di benzina/diesel e motori decenti in 5 minuti abbiamo risolto la crisi del settore con un bel boom economico stile anni '80... ecchissenefrega delle emissioni tanto il pianeta è spacciato.
Ritratto di Sherburn
7 dicembre 2024 - 17:32
Mi sa che fuori dal lager europeo se la godranno a lungo.
Ritratto di alex_rm
7 dicembre 2024 - 17:58
Ma si chissene importa delle aziende che chiudono l’importante è che l’Europa diventi green con le cannucce di carta e il tappo attaccato alle bottiglie
Ritratto di AZ
7 dicembre 2024 - 18:14
Perché non comprare Northvolt?
Ritratto di Byron59
7 dicembre 2024 - 18:31
Da vecchio comunista complottista (che non ha mai creduto al loro opposto, cioé alle teorie del candore che ci spacciano da mane a sera.) Fino agli anni Settanta il plusvalore veniva estratto dai capitalisti attraverso il lavoro salariato. Il guadagno del capitalista era costituito esclusivamente dal plusvalore che riusciva a estrarre dal lavoro dei propri dipendenti salariati. Di conseguenza il salario era il valore che i lavoratori attribuivano in denaro al loro lavoro. Dopo il 1971, con la fine della convertibilità del dollaro in oro fissata a Bretton Woods (1944) di 35 dollari per oncia d'oro, il valore della moneta, sganciato dall'oro, poteva corrispondere a un'ipotetica unità di lavoro con l'inflazione a segnarne un po' il limite. A ogni modo, la moneta era il valore che generalmente veniva attribuito al lavoro. Col capitalismo finanziario, a partire dagli anni Ottanta, questo ciclo, fordista, legato all'economia reale e alla produzione materiale di beni e servizi, si è trasformato in un ciclo basato sul debito. Il plusvalore estratto dal lavoro è diventata una quota sempre più minoritaria, perché il sistema delle banche centrali ha convertito l'economia fordista, che era un'economia a credito, in un'economia a debito. Sia gli stati che le aziende hanno cercato di estrarre plusvalore non dalla produzione materiale di beni e servizi ma dal mercato obbligazionario. Le obbligazioni, col peso dei loro dividendi, sono diventati preponderanti come creazione di plusvalore per i capitalisti rispetto alla produzione. Quindi i capitalisti hanno perso interesse nei meccanismi della produzione, che infatti hanno spostato lontano e dove costava meno le loro produzioni o le hanno dismesse del tutto. La svendita dei nostri asset industriali ai vari fondi di investimento da parte del nostro capitalismo dinastico ne è la prova più lampante. Dunque, a mio giudizio, anche questo ciclo si sta chiudendo. La finanziarizzazione dell'economia ha ormai raggiunto vette ineguagliabili, con tutta l'economia del debito e del denaro a interesse negativo emesso dalle banche centrali. Gli Stati Uniti hanno un debito pubblico pari a 35.000 miliardi di dollari, che diventeranno 54.000 di qui al 2030. La mia impressione è che la produzione materiale di beni sia diventata antieconomica. E per questo si sono inventati tutto l'armamentario della decrescita felice, del si vive meglio con meno, del cambiamento climatico con annesso green deal, che sta provocando una brutale deindustrializzazione. Insomma, l'industria, nel capitalismo del bitcoin che cresce del 275% in due mesi, non ha ragion d'essere. Gli investimenti, la ricerca e lo sviluppo sono dirottati verso asset più redditizi e speculativi. Anche il T note statunitense al 4 % è più redditizio di qualsiasi investimento materiale. Quindi ho l'impressione che la parola d'ordine sia di chiudere tutto. A noi ci ammansiscono e ammaniscono con narrazioni sempre più subdole, con emergenze sanitarie, guerre infinite, nemici alle porte ovunque, kit delle 72 ore di sopravvivenza e compagnia danzante. Ciò che succede in Francia, o la porcata delle elezioni annullate in Romania sono l'indice di una democrazia che si è ormai trasformata in regime totalitario quando il cittadino si rompe i coglioni e decide di pensare con la propria testa. Per noi italiani, abituati da un secolo di gregge, è prevista una decrescita dolce, una morte accompagnata, qualche monopattino e i voli low cost finché ci saranno per garantirci l'illusione di un benessere che si sono portati via. E con un milione di abitanti l'anno in meno tra poco le elite non avranno più pensieri.
Ritratto di Sherburn
7 dicembre 2024 - 21:26
Chapeau.
Ritratto di Byron59
8 dicembre 2024 - 14:24
Per chi volesse approfondire, Mauro Parretti, Le Metamorfosi del capitalismo, vi si trovano degli ottimi spunti di riflessione sulla sovrapproduzione e l'industria automobilistica. In estrema sintesi, la divisione sociale del lavoro nell’industria automobilistica, a livello internazionale, sembra entrata in una tempesta perfetta, che non dipende solo dalla transizione dal motore endotermico a quello elettrico, ma è costellata dallo spettro della sovra-capacità produttiva. Se in Italia gli impianti produttivi del gruppo Stellantis lavorano, ormai da tempo, a singhiozzo, la situazione non è nemmeno tanto rosea in Germania: il colosso di Wolfsburg, per la prima volta nella sua storia, nel mese d’ottobre dell’anno corrente, ha annunciato la chiusura di tre stabilimenti, con la conseguente perdita di miglia di posti di lavoro e la riduzione del salario del 10%. Per chi ha scarsa memoria storica, vale la pena ricordargli che stiamo parlando del marchio Volkswagen che, nei primi anni Novanta del secolo scorso, ha avuto il coraggio di adottare la soluzione che mirava a salvaguardare i posti di lavoro, con uno storico accordo che prevedeva la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali, a parità di salario. Le ripercussioni della crisi automobilistica tedesca creano un effetto domino su quella italiana, in quanto in questo comparto, l’Italia ha ridotto notevolmente la produzione di automobili (prodotti finiti), mentre ha incrementato le quote di mercato dei pezzi di automobili, i quali vengono assemblati in altri contesti produttivi. In altri termini, ci siamo specializzati nella componentistica per i marchi francesi e tedeschi. Se in Europa si respira un’aria asfittica, negli USA, sebbene il settore sia in ripresa, non è stata ancora raggiunta la produzione del periodo prima della pandemia. Tuttavia, nonostante la produzione di auto elettriche non sia decollata, anche per la difficoltà di approvvigionamento dei semiconduttori, le rivendicazioni degli operai sono più frizzanti. Tant’è che nel mese di settembre dello scorso anno, dopo 88 anni, lo UAW, United Auto Workers, il sindacato degli operai del settore automobilistico, ha lanciato uno sciopero, che ha coinvolto gli operai di Ford, General Motors e Stellantis, che hanno rivendicato salari adeguati all’inflazione e contemporaneamente hanno messo in evidenza la riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali. Al momento, nel panorama internazionale, sembra che i produttori cinesi, grazie ai formidabili interventi statali a partire dal decimo piano quinquennale nel 2001, godano di un vantaggio competitivo, infatti riescono a produrre auto elettriche a costi molto più bassi che in Europa e negli USA, ma anche per loro non sono tutte rose e fiori, perché il loro mercato interno non è sufficiente ad assorbire l’enorme capacità produttiva, mentre i paesi occidentali si difendono con pesanti dazi doganali, dall’invasione di queste potenziali merci. In Cina ci sono 450 fabbriche di veicoli elettrici e i loro impianti non operano a pieno regime, anzi utilizzano solo 1/5 della loro capacità produttiva. Dunque, i produttori cinesi sarebbero pronti a inondare di veicoli elettrici l’Europa e gli USA, potrebbero aggirare le barriere doganali delocalizzando la produzione, se i Governi occidentali dessero la loro disponibilità in questo senso, permettendo ai consumatori meno ricchi di acquistare le auto elettriche; tuttavia questo passaggio implicherebbe una perdita di posti di lavoro in Cina, in un periodo in cui anche da loro emerge il problema della disoccupazione giovanile. Produzione e consumo sono momenti di uno stesso processo tra loro strettamente connessi: se aumenta la capacità produttiva e i prodotti aggiuntivi finali non trovano una corrispondenza nel mercato, non vengono validati dagli acquirenti, in quanto non soddisfano bisogni umani, allora subentra una crisi di sovrapproduzione. Come spiega Marx, affinché un prodotto finale sia utile a soddisfare bisogni umani, cioè abbia un valore d’uso per altri e quindi diventi una merce, si deve verificare un passaggio significativo, attraverso il quale si realizza il valore di scambio. Ogni merce ha un valore d’uso e un valore di scambio, mentre il prodotto finale è una merce potenziale, pertanto esso diventa merce solo attraverso “un duplice salto mortale”, ossia esso non solo deve trovare il denaro corrispondente che ne permetta lo scambio, ma deve anche avere un valore d’uso per il suo acquirente. Altrimenti quel prodotto non entra nel consumo, non viene utilizzato per soddisfare un bisogno I veicoli elettrici dei fabbricanti cinesi, che sono stati progettati, pensando allo smartphone, con parti meccaniche ridotte all’osso e con prezzi competitivi, rivolti al consumo di massa, non intercettano gli acquirenti nazionali, né tanto meno quelli europei o americani, strozzati dalle elevate tariffe doganali e da una compressione dei salari su cui ho avuto già modo di scrivere. Senonché, la sovra-capacità produttiva detta legge: i 4/5 degli impianti produttivi cinesi non vengono utilizzati, di conseguenza i capitali finanziari disponibili non vengono investiti in mezzi di produzione aggiuntivi, in quanto non si prevede di incorporali in consumi aggiuntivi futuri. A ben guardare, Marx ed Engels, già nel Manifesto del Partito Comunista del 1848, evidenziano l’epidemia della sovrapproduzione: l’abbondanza diventa come la carestia e si vive una situazione come se una terribile guerra di sterminio avesse distrutto l’industria e il commercio, facendo ripiombare la società nella barbarie. E tutto ciò avviene per l’eccesso di produzione: troppe industrie, troppi commerci, troppi mezzi di sussistenza, troppa pubblicità, troppe banche, troppe transazioni finanziarie, troppe infrastrutture, troppe automobili nelle città e l’aria diventa irrespirabile, troppe reti, troppe mail e messaggi. Forse, l’espressione ripetuta continuamente, a mo’ di mantra “le risorse sono scarse”, non ha molto senso e non è per niente vera. Sembra che sia vero il suo esatto opposto. La prospettiva cambia, invece, quando ci chiediamo: che fine fanno le risorse derivanti dagli eccessi di produttività? Se i 4/5 degli impianti produttivi, delle fabbriche di veicoli elettrici cinesi, non vengono utilizzati, allora dovrebbe essere chiaro che lo stock di capitale fisso (le risorse) è sovrabbondante, quindi non c’è bisogno di nuovi “investimenti produttivi” nel settore, un aspetto nodale sul quale ritornerò nel fluire del discorso. Su questo punto Marx, a suo tempo, ha individuato la relazione tra crisi di sovrapproduzione e caduta tendenziale del saggio di profitto, inteso come rapporto tra i plusvalore (Pv) e il capitale anticipato o investito, cioè il capitale fisso più il capitale variabile (C+V). Il lettore attento si renderà conto che nel paese più dinamico del mondo, dal punto di vista dell’intensificazione o relativa espansione dei rapporti capitalistici, l’ago della bilancia, nella composizione organica del capitale, pende notevolmente dal lato degli impianti e macchinari, vale a dire il capitale fisso ( C ). L’ottanta per cento degli impianti e delle macchine, al passo con i progressi tecnologici di ultima generazione, NON PRODUCE merci per soddisfare bisogni. Questa potenza immane, pronta per l’uso, ma inutilizzata, rappresenta una minaccia per i produttori europei e americani, ma anche coreani e giapponesi, qualora volessimo allargare il quadro dell’analisi. Ogni fabbrica chiusa e potenzialmente utilizzabile, ogni fabbrica con impianti inutilizzati o che lavora a regime ridotto, come accade a Mirafiori, rappresenta capitale aggiuntivo che non incontra la sfera del consumo, ragion per cui non dà luogo a profitti. Tutto ciò NON IMPLICA che non ci siano profitti, infatti, esistono altre strategie per gonfiare i profitti, ma tali procedure rilevano che i profitti realizzati NON SONO PROPORZIONALI ai capitali investiti. In Europa la produzione delle auto elettriche non ingrana la marcia, non solo per la scarsa rete delle colonnine di ricarica e per le difficoltà a reperire le materie prime per la costruzione delle batterie, ma soprattutto perché costano troppo, non sono alla portata di tutti, in quanto ci troviamo di fronte a un modello produttivo che NON E’ ORIENTATO ALLA PRODUZIONE MOTORISTICA DI MASSA. In questo contesto, la spuntano le case automobilistiche che assemblano modelli di alta gamma, il cui target è costituito dalle fasce della popolazione più ricche, precisando che da quest’articolazione del processo produttivo si ottengono margini di profitti elevati, con ridotti volumi fisici di produzione. Sembra quasi che sia stata creata a tavolino una logica paradossale dove, a fronte di continui aumenti della produttività, per via delle innovazioni tecnologiche, la domanda di lavoro socialmente necessario diminuisce, all’aumentare della capacità produttiva, però sembra che insieme cresca il caos e l’immiserimento. È possibile uscire dalle sabbie mobili in cui siamo incagliati, senza affrontare la logica paradossale, legata agli eccessi di produttività? Mauro Parretti, in Le metamorfosi del capitalismo, sostiene che per percorrere questo sentiero, oltre agli sviluppi del pensiero e alle conoscenze elaborate da Marx, occorre far riferimento agli approcci teorici di Keynes, sebbene siano stati sviluppati in altra epoca e da un’altra angolazione. Il metodo di Parretti è analitico e parte dal presupposto che per spiegare la relazione tra la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto e la crisi di sovrapproduzione, non è necessario ricorrere a formulazioni algebriche o complicati teoremi matematici. In realtà, l’autore ne fa uso, ma puntualizza che su questo versante, si rivolge anche ai lettori economisti eventualmente interessati. Per il resto, egli si muove coerentemente sulle riflessioni del Centro Studi e Iniziative per la Redistribuzione del lavoro, che hanno rilevato il denominatore comune tra il pensiero di Marx e quello di Keynes, riguardo alla crisi di sovrapproduzione. Marx visse e studiò le crisi cicliche e congiunturali della sua epoca, analizzò in profondità i rapporti di produzione capitalistici e ne fu uno tra i più audaci e tenaci critici. Egli mise in evidenza gli aspetti positivi del modo di produzione capitalistico, ma teorizzò anche il superamento di questo sistema produttivo, mediante la suddetta legge della caduta tendenziale del saggio di profitto e l’emancipazione dal lavoro salariato (riduzione progressiva dell’orario di lavoro), da parte dei lavoratori dipendenti. Keynes visse la drammatica crisi di sovrapproduzione strutturale degli anni Trenta del secolo scorso, crisi, che in qualche modo aveva previsto, uscendo fuori dallo schema degli economisti ortodossi. Nel formulare la sua teoria economica – osserva Parretti – Keynes argomentò che essa era «il risultato dell’aumento della produttività, perché il capitalismo tende a limitare i consumi e espandere gli investimenti». Keynes non era un rivoluzionario come Marx, il suo pregio fu quello di riuscire a spingersi oltre i luoghi comuni degli economisti che supportavano il capitalismo, pur se condannava la società a vivere al di sotto delle capacità sviluppate in quel periodo storico. Anche se si sposò con una ballerina russa, non aveva nessuna simpatia per il comunismo e utilizzava espressioni di scherno e toni dispregiativi per “la cooperazione forzata” nell’Unione Sovietica. Nonostante questa poca simpatia per il marxismo pervenne a conclusioni simili a quelle di Marx sulla crisi. Per Marx, dice Parretti, il socialismo diventa opportuno, quando il capitalismo sottrae risorse al consumo dei lavoratori, non per migliorare l’efficienza del sistema e il tenore di vita di tutti, ma per sprecarle. In queste ultime circostanze il capitalismo è arbitrario e insopportabile e fomenta il caos. Durante la Grande Crisi, Keynes comprese che i milioni di disoccupati, che si registravano nei paesi capitalisticamente più avanzati, rappresentavano uno spreco inaccettabile, un prezzo troppo elevato per una società che era più ricca o che produceva di più, rispetto al periodo che ha preceduto il primo conflitto mondiale. A dire il vero, Keynes – asserisce Parretti – utilizza un linguaggio “marginalista neoclassico”, per evidenziare che all’aumentare della produttività, anche se aumenta la “produttività marginale” del capitale, nel contempo, diminuisce la sua “efficienza marginale”, cioè il suo rendimento monetario. Keynes rilevò, circa un secolo fa – continua Parretti – che una cosa è “produrre” nuovi investimenti, un’altra è “venderli”. Quindi il rendimento monetario dei nuovi investimenti, intesi come mezzi di produzione aggiuntivi, tenderebbe a zero, quando una tale “offerta” non trova la corrispondente “domanda”. I nuovi investimenti aggiuntivi «sarebbero necessari soltanto se i consumi, merci finali, crescessero allo stesso ritmo» altrimenti si crea una situazione di stallo quando la variazione dei consumi aggiuntivi sia inferiore a quella degli investimenti aggiuntivi, il che implica, nell’analisi keynesiana, propensione marginale al risparmio maggiore della propensione marginale al consumo. Queste ultime due variabili diventano significative, quando si riferiscono all’intera società, piuttosto che al singolo individuo o alla singola famiglia. In seguito alla prolungata depressione degli anni 30, nei paesi più industrializzati, Keynes ebbe modo di mettere a nudo il pensiero che incarnava la teoria economica liberista, sostenendo che il mercato non si autoregolava da solo e che soprattutto non era il regno dell’armonia. Infatti, il brillante matematico di Cambridge, insieme al suo gruppo di ricerca, formato prevalentemente da giovani economisti, riuscì a formulare una teoria in grado di affrontare la logica paradossale della crisi di sovrapproduzione, dando vita alle premesse per edificare lo Stato sociale. Uno stralcio del suo pensiero che smuove le acque: ci sono i mattoni, la calce, la sabbia, il legno (le risorse), ci sono disoccupati (muratori, manovali, carpentieri, eccetera), ci sono le macchine e le attrezzature, mancano le case per molti cittadini, in quanto vivono nelle baracche, allora se non intervengono i privati, con i loro capitali monetari inutilizzati, deve intervenire lo Stato e con la spesa pubblica finanziare la costruzione di case popolari, per coloro che non possono permettersi l’acquisto di una casa in muratura e con i comfort minimi. Nei trent’anni successivi alla seconda guerra mondiale, le politiche di pieno impiego persuasero le elite capitaliste ad accettare l’idea che il lavoro potesse sottrarsi alla condizione di merce sovrabbondante e che i salari non dovessero essere commisurati ai livelli di sussistenza, come ai tempi di Marx e nella prima metà del XX secolo e come purtroppo sta ricapitando adesso. Alla luce di quest’ultimo cambiamento, Parretti individua un passaggio cruciale: «La contrattazione collettiva del salario permise che una parte degli aumenti della produttività tecnologica (“prezzo/costo”) determinasse maggiori salari e servizi gratuiti da parte dello Stato (scuola, sanità, ecc.) e quindi aumentasse il tenore di vita dei lavoratori». Man mano che miglioravano le condizioni di vita della classe lavoratrice, in quanto riusciva a soddisfare una serie di bisogni “improcrastinabili”, diminuiva la propensione marginale al consumo e di conseguenza gli effetti moltiplicativi della spesa pubblica iniziarono a subire rallentamenti e cadute. A metà degli anni 70, quando riemerse il problema della disoccupazione, poiché lo Stato non riusciva a creare nuovi posti di lavoro nel settore pubblico, che potessero compensare la perdita di quelli che si verificavano nel settore privato, per via degli aumenti di produttività, legati all’innovazione tecnologica, lo squilibrio divenne consistente, cosicché le politiche keynesiane vennero messe sotto accusa e le teorie economiche neoliberiste e ordoliberiste, che non erano morte, presero di nuovo piede. Molti saggi sono stati scritti sulla crisi dello Stato sociale, quello di Parretti evidenzia un approccio che, a mio avviso, è interessante. Egli sostiene che anche in una situazione come quella descritta qui sopra, è possibile fare nuovi investimenti, purché siano improduttivi. Quindi le imprese «non investono in mezzi di produzione aggiuntivi, poiché inutili, ma in attività che facciano aumentare la propria quota di mercato a danno dei diretti concorrenti». L’aumento del capitale improduttivo, spiega Parretti, avviene a danno di quello produttivo, il quale continua a diminuire, a sua volta, per via degli aumenti della produttività tecnologica, espressa dal rapporto tra prezzo e costi diretti, così come il lavoro improduttivo sostituisce quello produttivo. C’è un altro aspetto dirimente, che cattura l’attenzione, quando si parla del come misurare la produttività del lavoro, infatti se nel rapporto tra prodotto netto e totale ore lavorate, si tiene conto anche delle spese improduttive, intese come costi fissi, negli ultimi trent’anni – afferma Parretti – la produttività del lavoro risulta stazionaria, se non calante, mentre se al denominatore del rapporto teniamo conto solo delle ore del lavoro produttivo, allora l’indicatore è ampiamente aumentato. Dunque le ore di lavoro improduttivo sono funzionali alle imprese, per mantenere o espandere la propria quota di mercato, esse non vengono utilizzate per produrre merci. Senza queste ore di lavoro improduttivo, le aziende sarebbero travolte dalla concorrenza, quindi sono costrette a sostenere questi “costi intermedi”, i quali decurtano il prodotto netto e fanno aumentare il valore delle imprese nei mercati finanziari. Insomma, Parretti sostiene che più che a capitalisti, ci troviamo di fronte a dei veri e propri prestigiatori: le spese improduttive corrispondono a profitti nascosti reinvestiti, che non risultano nei libri contabili come capitale reale, capitale, quindi, che non è possibile tassare, ma che appare solo nella vendita di quote o azioni dell’impresa a un valore molto più grande del capitale sociale contabile, che esse rappresentano nello stato patrimoniale.
Ritratto di lovedrive
7 dicembre 2024 - 22:29
sapevo che lo porsche hanno le ruote anteriori e posteriori. ma mi è nuovo che ha anche delle ruote centrali. :) chi sa dove saranno. boh.
Ritratto di Newcomer
8 dicembre 2024 - 10:13
Poco male, ormai queste batterie non servono a nessuno
Ritratto di Mirko21
9 dicembre 2024 - 08:22
FALLIMENTO!!..capito a cosa porterà all'industria dell'auto il green deal demenziale imposto da quattro CAPRONI ideologizzati...
Ritratto di Mirko21
9 dicembre 2024 - 08:25
Sorry.."capito cosa porterà all'industria"...
Ritratto di POWERSMARTTHEBEST
10 dicembre 2024 - 19:52
a scelta e stata imposta dalla commissione europea i costruttori non volevano le auto elettriche ! la finanza sionista che finanzia l industria dell auto ha costretto le case costruttrici a fare le auto elettriche con lo scopo di toglierci pian piano l auto e la LIBERTA DI MOVIMENTO questo e il loro lo scopo finale