QUELLA RUOTA PERDUTA - Vince l’automobilista, perde il gestore autostradale. La terza sezione civile della Cassazione, con sentenza 783 del 15 gennaio 2013, si esprime su un incidente verificatosi nell’aprile 2002. Alle 17, sul tratto Savona-Genova, gestito da Autostrade per l’Italia, un veicolo esce di strada, con danni per 20.000 euro circa di allora. La causa? Una gomma con cerchio (persa tre ore prima da un Tir) rimasta sulla carreggiata, almeno secondo il guidatore, che chiede subito l’indennizzo alla concessionaria autostradale. Questa si oppone, sostenendo di aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, e che in definitiva l’impatto con il pneumatico era inevitabile. Si va per tribunali, e dopo un’estenuante e costosa guerra giudiziaria (occorre farsi assistere da legali esperti), la Cassazione dà definitivamente ragione al cittadino; rimandando la decisione finale, per il risarcimento, alla Corte d’appello di Genova, che comunque dovrà tener conto dell’indirizzo della Corte suprema.
MEGLIO PREVENIRE… - Ovviamente, ogni caso fa storia a sé (vedi
qui). Ma il fatto che il gestore, a quanto emerso, avesse accantonato la gomma a bordo strada, senza rimuoverla, non è stato sufficiente a scagionare la concessionaria stessa. E se c’è stato il sinistro, questo significa che tanto in
sicurezza l’autostrada non doveva essere. Comunque, un segnale importante da parte della Cassazione, meno tollerante verso i gestori rispetto la passato.
IL GUARD-RAIL ASSASSINO - Ma ecco un’altra sentenza della Cassazione (quarta sezione penale), la 48216 del 13 dicembre 2012. Nel dicembre 2003, il guidatore di un’auto va a sbattere contro il guard-rail del raccordo autostradale Ascoli-Porto d’Ascoli, e muore. Dalla perizia emerge che la mancanza dei bulloni di collegamento fra le lame sovrapposte delle barriere ha impedito la resistenza all’urto. L’accusa a carico del responsabile della manutenzione della strada per l’incidente mortale è di omicidio colposo, perché il guard-rail non ha retto all’urto. Il funzionario ricorre in tre gradi di giudizio, sostenendo di aver effettuato un sopralluogo e che la responsabilità ultima fosse in capo a un’altra persona, ma perde sempre, fino alla sentenza definitiva della Cassazione.