AL VERTICE C'È FLYMOVE - A pochi giorni dall’annuncio di FCA di volere produrre la 500 elettrica a Mirafiori si avvia un altro progetto di mobilità a emissioni zero in Italia. A promuoverlo è una cordata di dieci aziende che ha come capofila Flymove, società costituita appositamente per l’iniziativa al fine di coordinare i contributi delle altre società. Si tratta di realtà consolidate nel settore come il produttore di moto elettriche Energica, il costruttore di auto da corsa Picchio e la società di progettazione, modellazione e prototipazione di autoveicoli Vercarmodel Saro. Nel team è presente pure la Akka Technologies, multinazionale europea di tecnologie per l’automotive fornitrice di diversi costruttori d’auto e proprietaria del marchio Bertone, acquisito nel 2016 dopo il fallimento della carrozzeria nel 2014.
LO SCAMBIO DELLE BATTERIE - Il progetto guidato da Flymove è denominato “Smart Mobility Platform” (SMP) e prevede un piano articolato con diverse attività parallele, compresa una ambiziosa per produrre dei veicoli elettrici a decollo verticale in linea con quanto stanno facendo altri, come Audi con Airbus. Rimanendo con le ruote sull’asfalto, l’idea primaria è promuovere la tecnologica per la sostituzione delle batterie, la Battery Swap System (BSS). Una soluzione, secondo i responsabili dell’iniziativa, che avrebbe il merito di rimuovere uno dei principali ostacoli alla diffusione di auto a zero emissioni: i lunghi tempi per la ricarica. Nel migliore dei casi, ossia con i rarissimi erogatori ultra fast, il rifornimento tradizionale tramite colonnine richiede 10 minuti, mentre con la sostituzione ne bastano circa 3.
NASCE IL MARCHIO DIANCHÈ - Per promuovere la sua visione di mobilità elettrica la cordata guidata da Flymove ha creato una piattaforma dotata di sistema BSS sul quale è possibile allestire diversi modelli, dalla city car alla Suv, dalla berlina alla sportiva. Le strategie per la diffusione dei veicoli sono due, con la prima a prevedere la produzione diretta di modelli con il nuovo marchio Dianchè creato per l’iniziativa. Un percorso già avviato con lo sviluppo di alcuni prototipi realizzati dai vari partner aderenti al progetto e con carrozzeria disegnata da Bertone (qui per saperne di più). La seconda opzione è concedere alle case automobilistiche l’utilizzo della piattaforma BSS per la produzione dei propri veicoli a zero emissioni o, addirittura, cedergli la licenza per assemblare un modello finito progettato dalla squadra di Flymove al quale apporre il proprio marchio.
LE STAZIONI DI INTERSCAMBIO - Il progetto “Smart Mobility Platform” non si limita alla proposta di veicoli, ma prevede pure lo sviluppo di una rete di stazioni per lo scambio degli accumulatori, le Poe Station, senza le quali le auto BSS non potrebbero essere vendute. I piani di sviluppo di Flymove partono dall’Italia con l’obiettivo di arrivare nel giro di 5-7 anni ad avere un numero di stazioni sufficiente per consentire la mobilità elettrica (a Milano ne basterebbero 16, per il Nord Italia 67). A comporla sarebbero quattro tipologie di stazioni: Large per gestire fino a 48 scambi all’ora, Medium per 24 scambi, Small per 12 scambi e Mobile su un camion apposito che può essere dislocato ovunque. Dall’Italia l’infrastruttura si espanderebbe all’estero con un piano da 4 miliardi di dollari per il 2026 che prevede 1.172 stazioni in Europa, 463 negli Stati Uniti e 660 in Cina dove è già attivo un contatto per realizzare la rete.
SOLO CON ENERGIA “VERDE” - Secondo la visione di Flymove le future stazioni per lo “swap” dovranno fornire soltanto accumulatori ricaricati con il 100% di energia proveniente da fonti rinnovabili per garantire una mobilità a zero emissioni effettiva. L’idea è di produrre in loco il 50% della “corrente” con fotovoltaico, solare a concentrazione, eolico e altre tecnologie, mentre il restante 50% sarebbe recuperato dalla rete, ma da fornitori che garantiscano energia verde al 100%. Nelle previsioni dei responsabili di Flymove ci sarebbe la possibilità di affiancare al sistema di scambio delle colonnine per la ricarica tradizionale, ma del tipo fast o ultra fast.
NON MANCANO LE CRITICITÀ - Se il progetto è ambizioso, non mancano le criticità, a cominciare da quella finanziaria. Per la realizzazione della rete di stazioni sono necessari capitali cospicui da reperire sul mercato, una raccolta che dipenderà dalla seduzione che il progetto potrà avere sui potenziali investitori. La seconda riguarda la possibile evoluzione tecnologica. Se oggi il sistema più rapido per fare il “rifornimento” è lo scambio di accumulatori, non è detto che nei prossimi anni lo sviluppo di erogatori da 350 kW o potenza superiore possono compiere il “pieno” in tempi poco più lunghi dei 3 minuti promessi con il sistema BSS. Non solo. Le batterie del futuro, come quelle allo stato solido, potrebbero avere maggiore capacità e sistemi di ricarica più veloci che renderebbe meno attrattiva la soluzione “swap”. La terza criticità è la necessità di trovare partner per la fornitura di energia e delle batterie, ma pure tra i costruttori di auto per avere una produzione e una commercializzazione di modelli con tecnologia BSS sufficiente per la sostenibilità economica della rete di stazioni di interscambio. Ed è proprio questa l’incognita maggiore, considerati anche i precedenti. Nel 2013, ad appena 5 anni dall’avvio, il progetto Better Place avviato in Danimarca e Israele con la collaborazione di Renault è fallito. Non è neppure partito il piano battery swap di Tesla, abbandonato a favore della rete Supercharger. Più probabilità di successo sembra avere la Power Swap Station della Nio attivata in Cina (qui per saperne di più), dove però il mercato elettrico è florido tanto che nel 2018 dovrebbe chiudere con la vendita di quasi un milioni di vetture.