SI SCROPRONO LE CARTE - Per l’ex Bertone, oggi potrebbe essere il giorno della verità. In queste ore, presso la sede dell’assessorato al lavoro della regione Piemonte, la Fiat dovrebbe finalmente scoprire le carte circa il futuro dello stabilimento di Grugliasco (nella foto), illustrando ai sindacati i piani di sviluppo. L’amministratore delegato Sergio Marchionne ha più volte ventilato la possibilità di assegnare all’azienda torinese la realizzazione di un modello della Maserati, previa la proroga di un anno della cassa integrazione straordinaria in cui sono, da due anni, gli oltre mille dipendenti dell’ex Bertone. Tutto però può accadere. Il fatto è che c’è di mezzo il no della Fiom all’applicazione degli accordi (restrittivi) già sottoscritti a Pomigliano d’Arco e Mirafiori da tutti i sindacati, meno che dai metalmeccanici della Cgil, e che da gennaio dovrebbe essere applicato a pressoché tutti gli stabilimenti del gruppo, rendendo carta straccia il contratto nazionale di lavoro.
SUL TAVOLO LA “QUESTIONE FIOM” - Marchionne è stato chiaro: senza il via libera di tutti i sindacati, di Grugliasco non se ne fa nulla; un modo, questo, per proteggersi da eventuali ricorsi legali. In base al nuovo contratto studiato ad hoc per la Fiat, infatti, l’organizzazione sindacale che rifiuta di firmare non può, in pratica, avere rappresentanza in azienda. Una disposizione che farebbe a pugni con il diritto del lavoro italiano e che finirebbe con l’estromettere dal gruppo il maggiore sindacato metalmeccanico del nostro paese. In più, all’interno della Fiom la posizione non è unica: nelle scorse settimane, infatti, è arrivato il via libera all’accordo dei delegati di fabbrica; tuttavia, Marchionne vuole il sì anche dell’organizzazione territoriale.
TROPPI DIPENDENTI? - La questione non si esaurisce qui. Una delle possibilità, su cui si è discusso negli ultimi giorni, è che la Fiat confermi i propri piani per l’ex Bertone, ma senza richiamarne in servizio i dipendenti. In base agli accordi presi con i commissari straordinari nel 2009, al momento dell’acquisizione (per 17 milioni) dell’azienda finita in bancarotta, il Lingotto si era impegnato a garantire lo stipendio ai lavori per un biennio; termine, questo, che scade sabato. Dopo, la casa torinese sarebbe libera da obblighi. Se a questo si aggiunge che il vicino stabilimento di Mirafiori ha diversi lavoratori in eccedenza, ce n’è di che impensierire i sindacati.