CONSEGUENZE DIROMPENTI - Il prezzo del petrolio è arrivato a livelli inimmaginabili sino a poco tempo fa. In questi giorni siamo intorno ai 48 dollari al barile e c’è chi ha previsto che entro poco tempo si scenderà ancora. Le conseguenze sono tante e vistose, ma anche di segno diverso. A esiti decisamente positivi se ne accompagnano altri di notevole gravità. Basti pensare da un lato ai vantaggi derivanti dal calo per i paesi importatori di prodotti energetici (per esempio l’India, non per nulla in forte crescita), e dall’altro alle difficoltà che stanno attraversando paesi come la Russia e il Venezuela, che da anni basano i loro equilibri economici appunto sulle entrate derivanti dal petrolio.
FINO A QUANDO? - Ma forse l’aspetto più rilevante della vicenda è la sua durata. Il mondo economico si sta infatti interrogando su quanto potrà durare tale situazione. L’argomento è al centro di un articolo del giornalista canadese e residente a Londra Gwynne Dyer, pubblicato in Italia dalla rivista Internazionale. L’articolo si pone l’interrogativo di quanto potrà durare la tendenza al calo del prezzo del petrolio, voluto dai paesi Arabi dell'Opec per mettere fuori gioco i concorrenti ai quali l'estrazione costa di più, come Usa, Norvegia e Regno Unito. Oltre a ciò delinea sommariamente il quadro dei protagonisti del mondo dei produttori, per sottolineare le diverse possibilità di reazione.
NUOVE TECNICHE ESTRATTIVE - Uno dei primi fatti rilevati sono le gravi difficoltà finanziarie in cui sono le società statunitensi impegnate nella ricerca del petrolio con il sistema della fratturazione del sottosuolo (fracking), molto più costoso (60-70 dollari al barile la sola estrazione): si parla di un indebitamento di 160 miliardi di dollari. Molte aziende sono in difficoltà, ma secondo Dyer la real politik porterà sicuramente il governo di Washington a sostenere il settore, fondamentale per assicurare agli Usa la non dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento energetico-petrolifero.
DISOMOGENEITÀ - Sul fronte dei paesi produttori con metodi tradizionali ci sono situazioni differenti. C’è, per esempio - il caso di grande rilievo politico - la Russia che sta vivendo una grave crisi economica, con l’indebolimento del rublo e pesanti difficoltà diffuse. Una situazione analoga si sta registrando in altri paesi, come il Venezuela, dove le conseguenze hanno già assunto toni molto pesanti. A fronte di queste realtà ce ne sono anche di segno molto diverso, come quello dell’Arabia Saudita, capofila dei paesi arabi produttori di petrolio.
RICCHEZZA ASTRONOMICA - L’Arabia Saudita ha accumulato una liquidità mostruosa: qualcosa come 900 miliardi di dollari, a fronte di una popolazione limitata (meno di 30 milioni). Ciò significa che il paese saudita è in grado di sopportare ancora a lungo il deprezzamento del petrolio, e poi i pozzi sauditi riescono a fare utili comunque perché hanno bassi costi di estrazione. Ma non solo. Secondo Dyer proprio l’Arabia Saudita è l’origine del crollo del prezzo del petrolio. Ciò per ragioni strategiche. Il grande paese arabo starebbe cioè utilizzando la sua formidabile forza finanziaria per combattere quello che è lo spettro per i paesi tradizionali produttori di petrolio: l’attività estrattiva con il sistema fracking, che consente di ricavare petrolio in regioni mai state petrolifere.
PROSPETTIVE DI POTERE - La ragione di questa strategia è evidente: il pericolo temuto è che una volta svanita la dipendenza dai paesi petroliferi “tradizionali”, anche le capacità di imporre il prezzo dell’oro nero sarebbero svanite. Dunque, al momento la partita sarebbe tra Usa (in quanto estrattore di petrolio con il sistema fracking sul suolo americano) e gli altri paesi, principalmente quelli dell’Opec, che rappresentano circa il 30% della produzione mondiale.
PREVISIONI - La vicenda quindi pone due interrogativi: il primo è fino a quando l’Arabia Saudita sarà in grado di attuare la politica dell’abbassamento del prezzo del petrolio? Il secondo è fino a quando il governo di Washington e l’economia americana sosterranno il comparto petrolifero nazionale? L’autore dell’articolo non risponde alla prima domanda, mentre - come detto - ritiene che per ragioni politiche il governo Usa sosterrà sempre il settore estrattivo nazionale che consente di non dipendere più dalla sempre più imprevedibile ed instabile regione medio orientale. Oltre a ciò Dyer non si sottrae dal fare una previsione, affermando che comunque vada a finire il braccio di ferro Usa-Arabia Saudita (Opec) il prezzo del petrolio tornerà a salire. Ma ciò avverrà lentamente, e “solo nel 2020 si tornerà a superare i 100 dollari al barile”.