PREZZI IN SALITA? - Secondo quanto rileva il sito Staffetta Quotidiana, il vero rincaro dei prezzi per il carburante deve ancora arrivare. Questa ipotesi è confermata anche da Quotidiano Energia, che rilancia anche la tesi secondo cui i rincari della benzina e del gasolio che hanno risvegliato l'attenzione dell'opinione pubblica, non sarebbero coincisi con l'esodo pasquale: sono fermi già da due settimane, con la benzina a 1,40 euro a litro e il gasolio a 1,23. Tariffe che, adesso, potrebbero crescere ancora, dato che ieri il prezzo al barile del greggio ha superato dopo 18 mesi quota 84 dollari, quando nello stesso periodo dell'anno scorso, costava 50 dollari.
SPECULAZIONI... - Alla base dei rincari, come vi avevamo anticipato ieri (leggi qui la news), ci sarebbe un'anomalia del nostro Paese: il prezzo industriale dei carburanti è superiore a quello degli altri Paesi europei: secondo l'ultima rilevazione del 29 marzo, il prezzo in Italia era superiore di 2,6 centesimi rispetto alla media europea. Una differenza che il Governo vorrebbe eliminare, come ha ricordato il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico con delega all'Energia, Stefano Scaglia: “occorre una riforma per superare il divario del prezzo del carburante tra Italia e i Paesi Ue. Quale sarà lo strumento per la riforma lo si deciderà successivamente”. Tra le ipotesi ci sarebbe anche un decreto legge. L'obiettivo è quello di liberalizzare il mercato, in modo che i petrolieri non possano fare “cartello”, ovvero decidere i prezzi a tavolino, cosa spesso denunciata dalle associazioni di consumatori.
PERCHÉ COSTA TANTO - Secondo alcuni analisti, l'attenzione andrebbe rivolta anche verso la rete distributiva: in Italia ci sono 24.000 aree di servizio contro le 12.000 della Francia e i 15.000 della Germania, quindi i costi per la distribuzione sono molto più elevati. Inoltre, le stazioni automatizzate sono ancora troppo poche: il costo del personale incide sul prezzo alla pompa. Però, la voce che incide maggiormente sul prezzo finale sono, indubbiamente, le accise, ovvero le imposte fisse, e l'Iva che gravano complessivamente per circa il 60%. Il costo della materia prima, lo stoccaggio, la distribuzione e la commercializzazione pesano invece “solo” per il 40% del prezzo finale.
UN PREZZO STORICO - Tante volte si è parlato di ridurre le accise che includono voci di spesa come il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935, la crisi di Suez del 1956, il disastro del Vajont del 1963, l'alluvione di Firenze del 1966, i terremoti del Belice del 1968, del Friuli del 1976 e dell'Irpinia del 1983, la guerra in Libano del 1983, la missione in Bosnia del 1996 e, non ultimo, il contratto dei ferrofilotramvieri del 2004. O ridimensionare l'imposta dell'Iva che grava per il 20%. Voci che nel 2009 hanno portato nelle casse dell'Erario ben 30 miliardi di euro e alle quali sarebbe difficile fare a meno.