QUELLA NOTTE MALEDETTA - Sono le 4.30 di notte dell’8 giugno 2002: sulla tangenziale Est di Milano (all’altezza di Cascina Gobba), un’auto guidata da un ragazzo, con a bordo due giovani (di cui una 17enne seduta dietro), è di ritorno da una discoteca. La macchina sbanda per un colpo di sonno del conducente, e si ferma nella terza corsia (quella di sorpasso), in curva, col muso rivolto verso le macchine che arrivano. Il ragazzo e la passeggera davanti scendono dal veicolo e si mettono in salvo; la minorenne sta per abbandonare la vettura, quando arriva una seconda auto, guidata da una donna, che trasporta la madre anziana e la figlioletta (stanno andando in vacanza a Rimini): procede a 90 km/h, nel rispetto del limite di velocità. Frontale tremendo, e ragazza sbalzata fuori dal mezzo (rompendo un vetro) decine di metri più in là, con lesioni così gravi da causare (più tardi, in ospedale) il decesso. Interviene la polizia che redige il verbale. Il ragazzo viene multato per diverse infrazioni; comunque, dall’alcoltest e dagli esami del sangue, risulta perfettamente sobrio. Guidatrice sanzionata per “velocità non adeguata alla situazione” (articolo 141 del codice della strada). Era entro il limite, ma andava troppo veloce comunque, anche perché viaggiava di notte e in curva. Inoltre, la signora procedeva senza motivo nella terza corsia, quando avrebbe potuto occupare la seconda (nella prima, c’era un camion).
UNO CHOC - Alle 10 del mattino, i genitori vengono avvertiti dell’incidente, ma non della morte della figlia (unica). Giunti in ospedale (al San Raffaele), lo choc: svengono. E dal punto di vista psichico avranno postumi permanenti.
PRIMO PROCESSO - E qui scendono in campo i legali. AlVolante.it ha contattato Rosario Alberghina, l’avvocato che ha assistito i genitori della vittima. Il quale ci ha spiegato che cos’è successo. ln sede penale, la perizia ordinata dal giudice (consulenza cinematica) conferma il colpo di sonno del guidatore, nonché la velocità eccessiva della signora, che per errore occupava la terza corsia. Ma serve una prova certa che la guidatrice non potesse in alcun modo evitare l’impatto. Risultato, il giovane viene considerato unico responsabile. La condanna: un anno e sei mesi di reclusione per omicidio colposo; 300.000 euro ai genitori della vittima come provvisionale (un “acconto” sulla somma che probabilmente verrà liquidata in sede civile). Sentenza confermata sia in appello sia in Cassazione.
SECONDO ROUND - Il processo civile dà un esito ben diverso. Ai genitori della vittima, 961.000 euro. Il giudice stabilisce che c’è concorso di colpa in omicidio colposo: il ragazzo viene riconosciuto colpevole per il 65% (625.000 euro); la guidatrice, per il 35% (336.000 euro). Perché andava troppo veloce, occupava la terza corsia anziché la seconda, usava gli anabbaglianti anziché gli abbaglianti, ritenuti dalla consulenza tecnica necessari in quel frangente (di notte, in curva, con a bordo una signora anziana e una bimba). E i 50 metri di campo visivo erano insufficienti per una guida sicura. Comunque, le compagnie assicuratrici delle due auto versano per intero l’indennizzo ai genitori: per legge, la polizza Rca copre fino a un massimale di 2,5 milioni di euro (anche se l’assicurazione della guidatrice riteneva che la cliente non avesse responsabilità, e non aveva intenzione di erogare il rimborso).
UNA CONFERMA - Il caso in questione conferma che, per gli incidenti gravissimi, viaggiare entro il limite di velocità non significa essere del tutto innocenti. I giudici, dopo un’accurata perizia, possono considerare in parte colpevole quel guidatore che non circola a una velocità “di sicurezza”, tale da non mettere in pericolo gli altri. Un esempio classico è dato da chi, in città, procede a 50 km/h (entro il limite) dove ci sono scuole o parchi per i bimbi: se un piccolo attraversa d’improvviso la strada, e il guidatore non riesce a evitarlo, potrebbe non bastare il fatto di rispettare il limite di 50 km/h per venire considerati non colpevoli.