L’UOMO
Nato a Lisbona 57 anni fa, sposato, tre figli, una passionaccia per le corse e per le auto d’epoca, Carlos Tavares si trasferisce ancora adolescente in Francia, dove nel 1981 si laurea in ingegneria meccanica alla École Centrale Paris. Nello stesso anno entra alla Renault: lavora ai progetti Clio, Mégane e, successivamente, Scénic II. Tavares sale rapidamente la piramide aziendale diventando vicepresidente strategia e sviluppo della Renault, prima di approdare alla Nissan, dove - a metà degli anni Duemila - svolge un ruolo-chiave (sia a Tokyo sia nel Nordamerica) per il rilancio della casa. Nel 2009, egli è di fatto il numero 2 dell’alleanza Renault-Nissan, l’uomo di fiducia del presidente Carlos Ghosn. Desta quindi sorpresa, nel 2014, la decisione di lasciare l’azienda per assumere la guida del gruppo PSA, all’epoca in forte difficoltà.

 

L’AZIENDA
Nel 2015, il gruppo PSA ha sfiorato i tre milioni di auto vendute, con un aumento dell’1,2% sull’anno precedente. Quasi due terzi delle vendite sono concentrate in Europa, mentre Cina e Sud Est asiatico ne assorbono il 25% circa; forte anche la presenza in Africa e in America Latina. Il gruppo PSA (i cui principali azionisti sono la famiglia Peugeot, la cinese Dongfeng e lo Stato francese, tutti col 14,1% del capitale) ha chiuso il 2015 con un fatturato di 54,7 miliardi di euro (+6%) ed è tornato a ganerare profitti: se il risultato operativo è triplicato a 2,7 miliardi, l’utile netto è stato di 1,2 miliardi (contro i 555 milioni di perdite del 2014). Il punto di pareggio è sceso da 2,6 a 1,6 milioni di vetture prodotte.

maggio 2016
Intervista di Direttore pubblicata su alVolante di

Carlos Tavares

Amministratore Delegato Gruppo PSA
Scandalo dieselgate? Meglio chiamarlo Volkswagengate. Non confondiamo i consumatori...

I conti a posto, in anticipo. Le strategie. E la sfida nel mercato premium. Parla il capo del gruppo PSA

Il piano si chiama “Back in the race”: di nuovo in gara. Carlos Tavares ama le corse e ha battezzato così il programma “lacrime e sangue” che ha salvato il gruppo PSA. Quando, due anni fa, il manager fu chiamato a guidarla, l’azienda (cui fanno capo Peugeot, Citroën e il nuovo brand DS) era in ginocchio. Nonostante una prima ristrutturazione varata, nel 2012, dall’allora presidente Philippe Varin, e l’ingresso nel capitale azionario dello Stato francese e dei cinesi della Donfeng: l’ultimo bilancio in utile risaliva al 2010. Poi è arrivato Tavares. La nostra intervista non può aprirsi che con una domanda sui positivi risultati del suo primo biennio al timone del gruppo PSA.

Il gruppo PSA è tornato in utile con largo anticipo – due anni – rispetto a quanto previsto dal piano “Back in the race” varato nel 2014. In pratica, oggi per guadagnare vi basta vendere 1,6 milioni di vetture. Come avete fatto?
Abbiamo ridotto i costi fissi, aumentato le entrate e migliorato la produttività intervenendo sui costi variabili, cioè su produzione, fornitori e acquisti. Il risultato è che guadagneremmo anche vendendo 1,6 milioni di automobili in un anno. Il che, per un gruppo industriale delle nostre dimensioni, è un successo. Non ci saremmo riusciti se non avessimo potuto contare sul lavoro di squadra e sulla professionalità dei nostri dipendenti, oltre che sul supporto degli azionisti e la maturità dei nostri interlocutori sindacali.
 
Per tagliare i costi avete messo da parte progetti importanti, come l’innovativo sistema ibrido HybridAir. È un abbandono definitivo?
Il piano “Back in the race” non ha comportato tagli alla ricerca e sviluppo e in generale ai progetti strategici. Tanto è vero che nei prossimi sei anni lanceremo in Europa 28 nuovi prodotti. Quanto al sistema ibrido ad aria, impone investimenti tali da richiedere la collaborazione di altre case automobilistiche. Non avrebbe senso trasferire sui clienti i costi di questa tecnologia. Se troveremo un partner con il quale condividere lo sviluppo e gli investimenti, siamo pronti a riprendere in mano il progetto.

Come differenzierete i prodotti Peugeot, Citroën e DS?
Questa sarà la parte più facile del nostro lavoro. Peugeot e Citroën sono brand complementari. Entrambi offrono tecnologia e qualità. Ma chi sceglie le Peugeot ha un approccio più tradizionale, pone l’accento soprattutto sull’affidabilità e sulle prestazioni, che, naturalmente, devono essere di ottimo livello. I clienti Citroën chiedono auto a misura d’uomo, facili da usare e con soluzioni innovative, per esempio nell’ergonomia. Il marchio DS vuole portare nell’automobile la ricercatezza francese, così apprezzata nel campo dell’arte, della moda, della cucina, del vino.

Quando il gruppo PSA vedrà i primi risultati della “scalata” al mondo premium, dove il brand DS deve vedersela coi tedeschi?
Sul piano dei risultati economici le DS ci stanno già dando delle soddisfazioni. Certo, dobbiamo farne un’alternativa ai costruttori tedeschi, che dominano il settore. Il nostro obiettivo, con questo brand, non è di vendere automobili che esprimano status, bensì di proporre un modo diverso di concepire l’auto di prestigio, fatto di eleganza e creatività.
 
Dopo lo scandalo dieselgate l’opinione pubblica chiede maggiore trasparenza alle case automobilistiche. Ha ragione?
Questo scandalo va chiamato Volkswagengate. Ma c’è effettivamente il rischio che l’opinione pubblica nutra del discredito nei riguardi di tutti i costruttori. Perciò, pur essendo le nostre auto quelle con le emissioni di CO2 più basse in Europa, e per quanto non coinvolti nella vicenda, renderemo pubblici i consumi e le emissioni delle nostre vetture rilevati con un ciclo più vicino all’uso reale di quello oggi utilizzato in fase di omologazione. Al Salone di Ginevra abbiamo presentato il nuovo protocollo, messo a punto con due organizzazioni non governative.

Ogni tanto si sentono voci di una possibile alleanza tra voi e il gruppo FCA. Ma fusioni e acquisizioni hanno senso quando un’azienda fa dei profitti come la vostra?
Due anni fa, quando stavamo affrontando la profonda ristrutturazione, forse le avrei risposto diversamente... Ma ora, proprio grazie a quel lavoro, i conti sono a posto e abbiamo le risorse per finanziare da soli il programma strategico di sviluppo che ci porterà al 2022. Ovviamente, un gruppo industriale come il nostro deve avere un atteggiamento pragmatico e saper cogliere tutte le opportunità.