DECISIONE DEI GOVERNI - Il consiglio dei ministri d’Europa ieri ha dato mandato alla Commissione europea di avviare trattative con il governo giapponese per arrivare alla firma di un trattato di libero scambio tra Unione europea e Giappone. Gli obiettivi del trattato dovranno essere la progressiva e reciproca liberalizzazione degli scambi di merci e servizi tra le due realtà, la soppressione delle barriere tariffarie esistenti, l’elaborazione di norme per affrontare le questioni commerciali.
I VANTAGGI PREVISTI - Il Consiglio dei ministri ha argomentato la sua scelta anche facendo riferimento a uno studio approntato nel luglio scorso dalla Commissione europea, secondo cui un accordo di libero scambio con il Giappone porterebbe a un aumento del pil europeo pari allo 0,8%, con incremento del 32% delle esportazioni dall’Europa al Giappone e del 27% dal Paese asiatico ai Paesi dell’UE. Sempre secondo lo studio, l’accordo porterebbe notevoli vantaggi occupazionali nei Paesi dell’Unione, con 420 mila nuovi posti di lavoro.
MA L’AUTO NON CI CREDE - Ma il mandato deciso a Bruxelles non ha trovato d’accordo l’industria dell’automobile. Appena diffuso il comunicato relativo alla decisione dei ministri europei, l’Acea - l’organizzazione delle case automobilistiche del Vecchio Continente - ha emesso un duro comunicato in cui paventa gravi rischi per l’industria dell’auto in conseguenza di un accordo di libero scambio con il Giappone come quello per cui è stato dato mandato.
RAPPORTI INSOSTENIBILI - L'argomentazione principale delle case riguarda la sporoporzione tra le due realtà, laddove le previsioni parlano di esportazioni aggiuntive dall’Europa al Giappone per 7.800 veicoli all’anno per il 2020, mentre il corrispettivo dal Giappone all’Europa è calcolato in 443 mila unità, in aggiunta a quanto già esportato fino a oggi (485 mila unità nel 2010). L’accordo avrebbe quindi pesanti conseguenze sull’occupazione, stimate dall’Acea in un numero tra 35 mila e 73 mila posti di lavoro persi.
RICHIESTE CONCRETE - L’Acea ha accompagnato le sue critiche con l’impegno a valutare in dettaglio il mandato affidato alla Commissione, ma da subito ha avanzato alcune richieste di fondo. Anzitutto che i veicoli prodotti in Europa siano accettati in Giappone senza ulteriori procedure di test o richieste di modifiche; quindi che ai modelli europei di piccole dimensioni venga data la possibilità di competere con le cosiddette “key car” nipponiche, che beneficiano di agevolazioni fiscali e normative e che rappresentano il 35% del mercato giapponese, interamente detenuto dalle case costruttrici locali.
I MOTIVI DELLA CONTRARIETÀ - Oltre che sulla sproporzione evidente tra l’entità dei due mercati, le argomentazioni dell’Acea si basano sul fatto che mentre per le case giapponesi l’esportazione in Europa ha il semplice ostacolo di un dazio doganale del 10%, la cui eliminazione è cosa facilissima e rapidissima, per le auto europee in Giappone gli ostacoli sono più complessi, essendo fatti di normative di omologazione diverse e ritenute capziose, così come molto complicate sono le procedure per poter dar vita a una rete di assistenza, indispensabile per poter spingere la commercializzazione di qualsiasi prodotto.
QUALCHE CONDIZIONE - Non per nulla il ministro francese per il commercio estero Nicole Bricq ha acconsentito ad approvare la decisione del Consiglio dei ministri dell’Unione soltanto previo inserimento di una clausola di salvaguardia per l’industria automobilistica. La posizione francese, è sostanzialmente condivisa da Italia e Spagna, mentre i Paesi del nord Europa sono stati favorevoli al mandato senza condizioni. La Germania non ha dato segni di prendere posizione.
IMPEGNI DELLA COMMISSIONE - Le resistenze manifestate hanno portato la Commissione europea a prendere impegni in favore di uno sviluppo delle discussioni che sia realmente favorevole a entrambe le parti. Il commissario Karel De Gucht, nel compiacersi della decisione del Consiglio dei ministri europei, ha anche affermato che la Commissione è determinata a far rispettare un rigido parallelismo tra le concessioni europee sui dazi con le modifiche normative da introdursi da parte del governo di Tokyo. Precisando che la Commissione è determinata a sospendere i negoziati se dopo un anno dall’inizio delle trattative il Giappone non avrà dato corso alla rimozione degli ostacoli non doganali.