Luca De Meo, 53 anni (nella foto qui sopra), una carriera importante cominciata alla Renault un quarto di secolo fa, dal 1° luglio è “tornato a casa” , ma in veste di presidente e ceo del gruppo. Giunto a Parigi direttamente da Barcellona, dove ha guidato il rilancio della Seat, si trova ora a gestire una Renault con i conti in rosso nell’epoca dell’elettrificazione e della pandemia. Nei giorni scorsi, De Meo ha incontrato (in una “tavola rotonda” online) un ristretto gruppo di giornalisti italiani. Ecco le domande che gli sono state rivolte, e le sue risposte.
Che situazione ha trovato al suo arrivo alla Renault?
Una “cultura aziendale” abbastanza simile a quella esistente quando lavorai qui 25 anni fa. Ma anche una Renault molto più internazionale e ricca di competenze. Questa è una casa sorprendentemente moderna sui temi del futuro, ma perché le buone idee si traducano in fatti occorre un ulteriore passo in avanti, e bisogna dare grandi ambizioni ai team di lavoro. Siamo pronti ad affrontare i due principali leader in quelle che saranno le tecnologie di punta da qui ai prossimi dieci anni, e cioè Volkswagen e Toyota. Con la nuova piattaforma dedicata alle vetture elettriche, che abbiamo presentato la settimana scorsa (qui per saperne di più) diamo una risposta concreta alla piattaforma MEB del gruppo tedesco. Mentre le nostre nuove ibride - e lo dico dopo averle guidate - rappresentano una valida risposta anche ai modelli ibridi giapponesi. Per quanto riguarda l’aspetto finanziario, è chiaro che in questo momento le nostre performance non sono soddisfacenti. Il 2020 è stato un anno complicato per tutti, ma per noi la pandemia è arrivata in un momento di debolezza. Abbiamo perso 7,3 miliardi di euro nel primo semestre 2020, ma guardando con più attenzione i numeri vi si scorgono anche dei segnali positivi. In luglio, agosto e settembre ho visto una ripresa e ora la situazione è assai diversa da quella di inizio anno, in particolare sul fronte della liquidità. L’azienda sta ritrovando la capacità di fare marketing con un diverso approccio al mercato, indirizzato più al valore che ai volumi. Abbiamo un portafoglio ordini migliore di quello disponibile lo scorso anno e i concessionari ci chiedono più vetture. Ci vorranno mesi, se non anni, per mettere a posto tutto, ma il potenziale c’è e crediamo di aver trovato la direzione giusta per il prossimo futuro.
Carlos Ghosn, ex capo dell’alleanza che lega Renault, Nissan e Mitsubishi, ha detto che la mancata fusione con la FCA è stata un errore strategico madornale per la casa francese. La Renault ha un problema di taglia, di distribuzione geografica o di sinergie per tagliare i costi di sviluppo? Oppure l'alleanza con i giapponesi è ritenuta sufficiente per affrontare le sfide future?
Spesso si fa una semplificazione eccessiva nella valutazione della dimensione di un’azienda e dei volumi di vendita necessari per essere competitivi sul mercato. Guardando alla storia recente della Renault e dell’alleanza con la Nissan e poi della Mitsubishi, è chiaro che questo gruppo lavora già su numeri e volumi più che sufficienti per essere competitivi. E l’ultima cosa che mi verrebbe in mente sarebbe proprio di cercare di rompere un’alleanza, che porta vantaggi alla Renault. Per quanto riguarda la distribuzione nei vari mercati, la Renault è forte dove la Nissan non lo è e viceversa. Bisogna quindi lavorare sul rafforzamento dei singoli marchi in quei Paesi dove si è perso terreno negli ultimi anni. Questo per la Renault vuol dire Europa e America Latina, per la Nissan, Cina e Stati Uniti. Quello che farà la differenza sarà poi trovare quattro o cinque progetti strategici sui quali investire assieme. Non è facile dopo tutte le perturbazioni che hanno colpito l’alleanza negli scorsi anni, ma ci stiamo provando. Sto lavorando affinché si instaurino nuove sinergie a livello ingegneristico per portare maggiore competitività e minori costi. Per esempio nella creazione di pacchi batterie destinati a tutte le auto elettriche dei marchi dell’alleanza.
Oggi la Renault è scoperta nella categoria premium, dove si fanno più margini. E in Europa l'alleanza con Nissan e Mitsubishi non è neanche più presente con il marchio Infiniti. In questa area che cosa prevede?
Basta guardare alla nostra storia, punteggiata da tentativi maldestri di fare berline e suv mediograndi, per capire che non si tratta della strategia corretta per la Renault. Per questo motivo, da qui ai prossimi anni la Renault deve concentrare i suoi sforzi non tanto sulle auto di fascia alta, ma sul segmento delle berline e delle suv compatte e medie: è questo il cuore del mercato europeo e queste sono le auto che ci riescono meglio. Basti pensare alla famiglia Mégane degli anni ’90, quando su una sola piattaforma si crearono sei o sette modelli diversi di successo. Il nostro obiettivo,quindi, sarà quello di tornare a costruire vetture migliori di quelle dei nostri concorrenti per riconquistare grandi quote di mercato in questa categoria.
Come pensate di affrontare il mercato delle citycar nei prossimi anni? Altri costruttori pensano di abbandonarlo...
Bisogna distinguere tra citycar e compatte, tra vetture elettriche e quelle a motore termico. Se si guarda al sistema di calcolo delle emissioni è chiaro che risulta molto più penalizzante per le auto piccole. È decisamente più facile raggiungere i target imposti dall’Unione Europea arricchendo di tecnologia le berline e le suv medio-grandi, dove i margini sono maggiori. La soluzione per le auto piccole è l’elettrificazione con una batteria sufficiente agli spostamenti in città, ma dal 2025 lo stesso problema si porrà anche per le vetture compatte. In tanti, quindi, stanno abbandonano queste fasce di mercato, non perché le persone non abbiano più bisogno di vetture compatte, ma come diretta conseguenza delle normative.
Con la Dacia Spring porterete ai clienti un’elettrica molto più economica di quelle della concorrenza. Qual è la vostra strategia al riguardo?
La Dacia Spring nasce sulla base della Renault Kwid, sviluppata per l’India e poi importata in Cina ed elettrificata. È una vettura essenziale, ma costituisce una buona base di partenza per portare sul mercato europeo un’elettrica a basso costo e con una decente autonomia. In più, abbiamo Twingo e Zoe, modelli più raffinati con i quali già copriamo tutto il cosiddetto “basso di gamma” delle elettriche. La piattaforma che abbiamo presentato la settimana scorsa farà invece da base per i modelli di fascia media, dai 420 ai 470 cm di lunghezza, con autonomia tra i 400 e i 550 km. Il terzo passo sarà creare una nuova generazione di veicoli elettrici compatti che sia competitiva sul mercato. Ci vorrà del tempo. Stimiamo in sette o otto anni il tempo necessario per dimezzare il costo delle batterie e rendere quindi il sistema elettrico finalmente competitivo con i motori a benzina o ibridi.
Da diversi anni la Dacia sta ottenendo ottimi risultati di vendita. Come intende sviluppare ulteriormente il successo del marchio rumeno?
Sono reduce da un viaggio in Romania, dove mi hanno impressionato le infrastrutture e l’organizzazione della Dacia. Questo marchio è uno dei pilastri del gruppo Renault. Non esiste un’altra realtà industriale capace di produrre vetture così economiche eppure capaci di generare profitti. Per questo penso che la Dacia debba diventare un marchio a tutto tondo, e nei prossimi anni debba godere di maggiore libertà per inserirsi in nuovi mercati e in fasce di mercato dove finora la presenza della Renault ne sconsigliava l’ingresso.
Conosciamo bene la sua visione sul tema della mobilità cittadina, per come è stata messa in pratica alla Seat con veicoli come il Minimò o lo scooter elettrico Mò. La trasferirà alla Renault? Che, dopo la Twizy, sembra rimasta un po' indietro…
La strategia che annunceremo nei dettagli nei prossimi mesi è basata su quattro pilastri, uno dei quali è costruito intorno alle offerte che la nostra società finanziaria può fare ai clienti, coi quali è in contatto diretto. La nostra è la sesta banca francese e dispone della liquidità per finanziare progetti e piattaforme legate al car sharing e alla sostenibilità. Noi intendiamo farne il carburante per i nuovi business e trasformarla nel centro di controllo delle singole iniziative aziendali già presenti in Renault. Fin qui, si tratta di un approccio abbastanza simile a quello di alcuni concorrenti, ma ciò che differenzierà la nostra strategia è la decisione di affiancare alla finzianziaria un’unità di ingegneria dedicata allo sviluppo di prodotti specifici per le piattaforme di mobilità. Per quanto riguarda i prodotti, pensiamo a una Twizy di seconda generazione o ad altri veicoli pensati per quelle piattaforme di mobilità e di condivisione che oggi non riescono a fare utili perché utilizzano mezzi inadatti allo scopo, anche perché sovradimensionati nelle prestazioni, e quindi più costosi.
Qual è la strategia per il marchio Alpine? È vero che vuole trasformarla in una “piccola Ferrari francese”?
Premesso che, da italiano, per me la Ferrari è quasi una religione, quando sono arrivato alla Renault mi sono reso conto che al suo interno c’erano quattro realtà sportive: la scuderia di F1, la squadra super avanzata di ingegneri di Renault Sport, la fabbrica di Dieppe, dove vengono prodotte le Alpine A110; e infine l’Alpine, un marchio che rappresenta la tradizione dell’auto sportiva francese. Queste realtà venivano considerate semplicemente dei centri di costo. E mancavano progetti concreti per mettere al lavoro con costanza gli uomini di Renault Sport e l’impianto produttivo di Dieppe, dove ho visto del potenziale. L’idea è di unirle, per costruire un unico marchio forte nel motorsport. Da qui il progetto di portare l’Alpine in F1, che ha trovato riscontri molto positivi nell’azienda. È una scommessa e il successo dell’operazione non è scontato, ma ho tra le mani i “migliori ingredienti” per cucinare un buon piatto.
(Con il contributo redazionale di Cesare Nebbia).