UN DISASTRO ANNUNCIATO - Intervenuto all'incontro organizzato dal Consiglio dei ministri per le relazioni Italia-Usa tenutosi a Venezia nel fine settimana, Sergio Marchionne (foto sopra) si è dichiarato preoccupato sulle sorti dell'Europa, per l'incapacità di trovare una risposta efficace alla crisi economica della Grecia che mette a rischio la tenuta della moneta unica. Come riporta l'agenzia di stampa Ansa, secondo l'amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler e presidente dell'Acea, l'associazione dei costruttori auto presenti in Europa, la scomparsa dell'euro “sarebbe un disastro. Perderemmo 2-3 milioni di vetture nella prima botta, il mercato europeo scenderà sotto i dieci milioni di vetture il primo anno, garantito”.
2012 ANCORA IN CALO - Che la situazione del mercato auto in Europa non sia facile lo si evince anche dalle previsioni di vendita per il 2012: si annunciano in calo per il quinto anno consecutivo, con immatricolazioni ridotte del 7% rispetto al 2011, quando sono state targate complessivamente 13.111.209 nuove auto (leggi qui per saperne di più). Una situazione ormai non più sostenibile. Secondo Sergio Marchionne, che settimana scorsa, intervenuto al Cars21 (Competitive automotive regulatory system for the 21st century) quale presidente dell'Acea, ha dichiarato che l'Europa “non può semplicemente stare a osservare il corso degli eventi”. Secondo il top manager, affinché l'industria automobilistica europea esca dalla crisi, sono necessarie una liberalizzazione dei mercati, la riduzione delle barriere agli scambi e agli investimenti, e la creazione di un sistema legislativo sovrannazionale.
I TEDESCHI NON CI STANNO - Marchionne, inoltre, ha ribadito ancora una volta come i costruttori europei debbano collaborare per risolvere il problema della sovraccapacità produttiva, ovvero avere stabilimenti che producono molto meno di quanto potrebbero. Un tema “caldo” che coinvolge le politiche dei singoli stati membri dell'Unione Europea, dato che rende necessaria la chiusura di impianti e tagli alla forza lavoro. Su questo fronte, però, i costruttori appaiono divisi, con quelli tedeschi che fanno orecchie da mercante. D'altra parte, secondo le stime di UBS, una società di analisi e consulenza, se gli stabilimenti di Fiat, Citroën, Peugeot e Renault lavorano solo al 60%, nel migliore dei casi al 75%, della loro capacità produttiva, quelli dei gruppi BMW, Daimler (Mercedes) e Volkswagen sono impegnati per oltre il 90%. La ragione è semplice: i primi sono strettamente legati al mercato europeo e risentono pesantemente del crollo della domanda di nuove auto, mentre quelli tedeschi possono contare sul forte incremento delle vendite negli Usa e in Cina.