Porsche 356, una leggenda lunga 75 anni

Al netto della diversa configurazione di carrozzeria - non più aperta, ma coupé -, la prima Porsche 356 di serie, costruita interamente a mano a partire dall’inverno del 1948 al ritmo di cinque vetture al mese, somiglia molto alla 356 No. 1. In realtà, però, si tratta di due vetture piuttosto diverse. Il telaio in traliccio di tubi viene scartato in favore di un più economico (ma altrettanto leggero) pianale scatolato in lamiera d’acciaio molto simile a quello del Maggiolino. Quanto al motore, rimane lo stesso, ma viene spostato più indietro, a sbalzo dietro l’assale posteriore: una disposizione che da quel momento in avanti sarebbe diventata un vero biglietto da visita per il marchio. La scocca, costruita sempre in alluminio, è molto leggera e contribuisce a fermare l’ago della bilancia a quota 680 kg. La velocità massima, in virtù della buona efficienza aerodinamica della carrozzeria, è di 140 km/h. Saranno 46 - metà coupé, metà cabriolet - gli esemplari prodotti sino al 20 marzo 1951.

Dopo la piccola serie allestita a Gmünd, la Porsche 356 vede finalmente le luci di una catena di montaggio più moderna e in linea con le ambizioni della Porsche di costruirsi un nome nella nicchia delle piccole auto sportive. Il modello assemblato a Zuffenhausen, alle porte di Stoccarda, che diverrà la sede storica della famiglia Porsche dall’autunno del 1949, monta un motore con cilindrata ridotta a 1086 cc, in modo da poter rientrare nella categoria sportiva delle “1100”. Invariate la potenza (40 CV) e la velocità di punta (140 km/h). Al termine della produzione, nel 1955, nelle varie versioni (con cilindrate anche di 1,3 a 1,5 litri e potenze fino a 70 CV) vedranno la luce ben 2.200 esemplari. Un corposo successo motivato da una cura costruttiva e un’affidabilità meccanica esemplari. Qualità che contribuiranno a fare delle Porsche un vero status symbol.

Nel settembre del 1955 al salone di Francoforte debutta, profondamente rinnovata, la Porsche 356 A. Le versioni coupé e Speedster (configurazione quest’ultima particolarmente sportiva, completamente aperta e contraddistinta da un parabrezza risicatissimo, con tettuccio in tela solo di fortuna) sono affiancate dalle più costose cabriolet. All’esterno la novità più importante è costituita dal nuovo parabrezza, curvo e non più a forma di V, come sui modelli precedenti. Sono nuovi pure i sedili con schienali reclinabili e la panchetta posteriore con due posti comodi solo per un paio di bambini o di adulti di bassa statura. I “vecchi” motori 1.5 monoalbero vengono rimpiazzati da un nuovo 1.6 da 60 CV, declinato anche in una più pimpante versione da 75 CV sulla costosa 356 “1600 S”. Alla base della gamma si colloca la “1300” da 44 CV (che salgono a 60 sulla “1300 S”). 

Chi è cresciuto a pane e automobili lo sa bene: Carrera fa rima con Porsche (soprattutto quando si parla di 911 e, più in generale, dei suoi modelli più sportivi). La prima vettura della casa di Zuffenhausen a evocare la mitica Carrera Panamericana (una corsa così avvincente che le bastarono cinque edizioni, dal 1950 al 1954, per farle raggiungere la fama eterna di competizioni ben più longeve come la Mille Miglia e la Targa Florio) è la Porsche 356 A 1500 GS Carrera. Proposta nelle ormai classiche tre varianti di carrozzeria coupé, cabriolet e speedster, è mossa dallo stesso, esuberante 1.5 con distribuzione a quattro alberi a camme in testa della mitica 550 Spyder, formidabile barchetta da corsa rimasta famosa per i numerosi successi ottenuti nelle competizioni e per il tragico indicente in cui l’attore americano James Dean, il 30 settembre 1955, perse la vita scontrandosi contro la Ford di un’automobilista distratto. Titubante ai bassi regimi e feroce vicino alla zona rossa del contagiri, con una potenza di 100 CV e un peso contenuto in 850 kg la 356 Carrera raggiunge i 200 km/h e nelle corse più importanti degli anni ’50, dalla Mille Miglia al Rallye di Montecarlo, si rivela un osso durissimo da battere anche per avversarie molto più potenti.

Nel 1957 ai piani alti di Zuffenhausen si comincia a pensare a un profondo rinnovamento della gamma 356 A. A tal proposito, vale la pena ricordare che la Porsche 356 B sarebbe dovuta essere una vettura assai diversa da quella di cui, invece, alla fine si rivelerà essere una naturale e diretta evoluzione. Perfezionare senza stravolgere, quindi: questa la parola d’ordine che guiderà l’azienda, consolidando nel tempo una tradizione e un successo che proseguono immutati ancora oggi. Abbandonate le soluzioni più “ardite” - dalle sospensioni pneumatiche a un impianto di iniezione che la Porsche aveva cominciato a studiare in collaborazione con la Bosch già all’inizio del decennio, fino a un inedito frontale a quattro fari -, la nuova Porsche 356 non presenta grosse differenze rispetto al modello precedente. Sotto il cofano restano i motori 1.6 da 60 e 75 CV e il “Carrera” (che di cavalli ne guadagna 15, raggiungendo quota 115), mentre la carrozzeria viene aggiornata con nuovi proiettori (posizionati più in alto e meno inclinati rispetto a quelli della 356 A) e nuovi paraurti (più avvolgenti e anch’essi rialzati). Nel 1961 debutta la potente e velocissima Carrera 2: mossa da un 2.0 da 130 CV, raggiunge i 200 km/h e “brucia” lo 0-100 in 9,4 secondi, un tempo all’epoca appannaggio di bolidi con motori di cilindrata doppia.