LA STRAORDINARIETÀ DI UN’AUTO “NORMALE” - Perché i rally sono considerati una disciplina rivoluzionaria nel panorama degli sport motoristici? Per lo spirito d’avventura che da sempre li contraddistingue? Per la varietà di paesaggi e strade in cui si svolgono le gare? Per il cameratismo che si instaura tra pilota e copilota? Senz’altro sì, anche se è probabilmente un’altra la ragione profonda per cui, da quando queste corse hanno cominciato a diventare popolari, negli anni ’60, le folle si riversano in massa a bordo strada per vivere sulla pelle il brivido di una prova speciale. Tutt’a un tratto, la gente s’accorse che le auto che animavano quelle spettacolari esibizioni erano del tutto simili, se non identiche, a quelle che popolavano il traffico delle città. E quando il grande pubblico scoprì che persino una minuscola Mini Cooper poteva compiere imprese ritenute impensabili, gli appassionati cominciarono ad accarezzare un’idea di cui, a distanza di un paio di decenni, nel periodo di massimo splendore di questo sport, si sarebbero follemente innamorati: poter guidare sulle strade di tutt’i giorni vetture parenti più o meno strette di quelle che popolavano i loro sogni di tifosi.
SOGNANDO I RALLY - Cominciata negli anni ’80 e cresciuta rapidamente sotto la spinta della fama mondiale dei mostri del Gruppo B (qui per saperne di più), la moda delle vetture sportive ispirate ai rally, o "rally replica" per dirla all'inglese, è letteralmente esplosa all’inizio della decade successiva. Il passaggio dai campi di gara agli show-room, secondo il celebre mantra del “Win on Sunday, sell on Monday” (“Vinci la domenica, vendi il lunedì”, dall’inglese), per i grandi costruttori impegnati nelle competizioni, fu logico e naturale. Una ghiotta occasione di marketing, certo, che però portò alla realizzazione di auto dal valore assoluto, che ancora oggi sono ricercate dagli appassionati anche quelli più giovani di coloro che le vissero in prima persona negli anni '90.