RICONQUISTIAMO LA VETTA - IBM, Intel, Microsoft e Apple: bastano questi nomi (ce ne sono molti altri) per capire quanto l’informatica e l’High Tech debbano agli Stati Uniti d’America. Se dal punto di vista dell’innovazione la potenza USA non si discute, la produzione dei microprocessori si è invece molto ridimensionata, passando dal 40% del totale globale del 1990 all’attuale 11%. Questo ha fatto scattare l’allarme rosso nel governo statunitense, che sta preparando diverse contromosse. Le industrie di Taiwan, Cina e Corea del Sud ormai la fanno da padrone e i contraccolpi della pandemia prima e poi della ripresa, che ha drenato verso altri settori molti dei microprocessori destinati ai veicoli, hanno penalizzato moltissimo l'automotive e hanno fatto capire quanto al situazione sia grave.
CONSULTAZIONI E INIZIATIVE - Si stima che la crisi dei chip farà perdere globalmente 14 milioni di automobili in circa 3 anni (qui per saperne di più) e questo ha indotto, già da un po’ di tempo, a iniziative quali quella messa in atto dal Dipartimento del Commercio, che ha promosso una Request for Information volontaria per identificare i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento dei chip. Questa iniziativa ha visto le risposte di più di 150 aziende, tra le quali quasi tutti i principali produttori di microprocessori e le case automobilistiche.
PRENDERE ATTO CHE… - Fra i risultati “scomodi” citiamo il fatto che la domanda di chip è molto sostenuta ed è superiore del 20% rispetto a quella dell’ultimo anno “normale”, il 2019. L'industria di settore prevede che la domanda supererà l'offerta almeno per i prossimi sei mesi. La stragrande maggioranza delle Fab (sono le fonderie che materialmente producono i chip) produce a più del 90% del massimo, il che significa che gli impianti esistenti non sono in grado di aumentare significativamente la produzione e quindi ne occorrono di nuovi. Il valore mediano delle scorte (è qualcosa di simile a una media) è sceso dai 40 giorni del 2019 a meno di cinque giorni, con durate ancora più piccole in alcuni settori chiave. Ciò significa che se una recrudescenza del Covid, un disastro naturale o un'instabilità politica arresta uno stabilimento di microprocessori anche per sole poche settimane, questo metterebbe a rischio uno stabilimento USA, con rischi per i lavoratori e le loro famiglie.
AZIONI URGENTI - A complicare la situazione si è evidenziato che chip digitali meno moderni, ancora usati nelle automobili, nei dispositivi medici e in altri prodotti, sono quelli che scarseggiano di più. Anche i microprocessori analogici, come quelli utilizzati nell’alimentazione dei dispositivi, scarseggiano così come i circuiti stampati e i componenti discreti come diodi e condensatori. Alcune aziende hanno menzionato prezzi insolitamente alti per i microprocessori acquistati da intermediari, cosa che ha indotto il Dipartimento del Commercio a predisporre accertamenti. Alla luce di questi fattori di rischio e difficoltà oggettive Gina M. Raimondo, segretario Usa al Commercio, afferma che “il finanziamento domestico dei microprocessori è estremamente urgente e la Camera dei Rappresentanti sta preparando l'Innovation and Competition Act che prevede 52 miliardi di dollari in finanziamenti nazionali per aiutarci a creare soluzioni a lungo termine”. Oltre a quest’azione legislativa si segnala l'intenzione di Intel di costruire un mega-impianto da 20 miliardi di dollari e più di 10.000 posti di lavoro: a darne l’annuncio il presidente Biden, il governatore dell’Ohio DeWine e il ceo di Intel Pat Gelsinger. Ford e il colosso dei microprocessori Global Foundries hanno annunciato una partnership per innovare sui chip futuri, aspetto fondamentale dato che i veicoli elettrici richiedono molti più chip rispetto a quelli con motori a combustione interna. GM ha inoltre annunciato una partnership simile con 7 diversi produttori di microprocessori. Basteranno queste azioni a risolvere una situazione che è stata lasciata a sé stessa per decenni?