LENTO DECLINO - Un tempo i grandi costruttori mettevano a punto piani di espansione globale. Ora purtroppo accade spesso il contrario. Come nel caso del colosso americano General Motors (nella foto la sede di Detroit), anni fa numero uno incontrastato del mercato auto, e ora costretto a ritirarsi dalle piazze più importanti del mondo, ad eccezione di Americhe e Cina. Così, dopo avere venduto al gruppo PSA la Opel in Europa, in questi giorni i responsabili della GM hanno confermato che a breve chiuderà qualsiasi attività (vendite, progettazione e costruzione) dell’affiliata Holden in Australia e Nuova Zelanda, ritirando definitivamente questo marchio entro il 2021. La notizia viene diffusa in queste ore da Automotive News che conferma anche la cessione ai cinesi della Great Wall del sito produttivo della GM in Thailandia, nazione dove a breve verrà ritirato dal mercato il marchio Chevrolet, anch’esso di proprietà GM.
SOLO MERCATI PROFITTEVOLI - Si tratta di una cura dimagrante decisamente drastica che, sempre secondo la GM, permetterà all’azienda di focalizzare le sue energie sui mercati più redditizi. Nel frattempo nel corso di una recente presentazione, Dhivya Suryadevara, responsabile della strategia finanziaria di GM, ha dichiarato che la ristrutturazione delle attività internazionali di GM garantirà margini di profitto migliori di circa 2 miliardi di dollari rispetto al 2018. GM insomma si sta concentrando su quei mercati in grado di generare rendimenti robusti e privilegiando gli investimenti globali in chiave di mobilità sostenibile con particolare attenzione ai veicoli elettrici. Una priorità spesso ribadita anche dal numero uno di GM, Mary Barra.
CROLLO DI UN IMPERO - Certo è che la contrazione di GM nel corso di questi ultimi anni fa decisamente impressione: dal 2014, anno in cui la Barra ha preso il timone dell’azienda, il colosso americano è uscito dal mercato europeo, con la vendita di Opel e Vauxhall e lo stop al marchio Chevrolet, ha interrotto le attività in Russia, Sudafrica, Vietnam, Indonesia e India. E ora tocca appunto alla Thailandia, Australia e Zelanda: in questi ultimi due casi, secondo le dichiarazioni ufficiali, il crollo delle vendite della Holden non giustifica più gli investimenti per la costruzione di vetture con guida a destra. I dipendenti di GM in Australia e Nuova Zelanda sono 828, mentre altri 1.500 si trovano negli stabilimenti tailandesi. E alla fine più che di un processo di rinnovamento sembra malinconicamente trattarsi di un lento ma inesorabile crollo di un impero.