GIUDIZIO SEVERO - Greenpeace East Asia ha prodotto un ponderoso studio di 84 pagine, l’Auto Environmental Guide, che esamina la strategia di decarbonizzazione dei 10 principali gruppi automobilistici globali. L’analisi tiene conto di vari parametri e i giudizi sono severi, dato che boccia sonoramente Toyota e Stellantis (dando loro una F--), e dà un giudizio poco meno negativo a Ford e Daimler, che hanno F-. Un po’ meglio fanno Honda, Nissan e Hyundai-Kia, che guadagnano un F+, mentre Renault ha D-, Volkswagen D e General Motors è la migliore, meritandosi un C-. L’analisi è complessa e tiene conto sia dei programmi di eliminazione dei motori a scoppio sia della decarbonizzazione delle forniture usate per la costruzione. I termini dell'eliminazione graduale dei veicoli con motore a scoppio pesa per l'80% nella valutazione complessiva mentre la decarbonizzazione della catena dei fornitori pesa per il 20%. Ricordiamo infatti che la costruzione dei veicoli ha emissioni di CO2, dirette o equivalenti, e che le auto elettriche, ad oggi, sono svantaggiate in questo aspetto proprio per le loro batterie.
VOGLIAMO LE DATE - Greenpeace considera molto male il fatto che nessun gruppo preveda una data per eliminare i veicoli con motore a combustione interna (ICE) prima del 2035, il che rende molto difficile raggiungere l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5° C. Sette gruppi - Daimler, Ford, Nissan, Renault, Stellantis, Toyota e Volkswagen- non hanno poi alcuna data per l’eliminazione degli ICE in nessun mercato e per nessuno dei loro marchi principali. Diversi gruppi si muovono a “macchia di leopardo”, con Honda, per esempio, che dichiara che il 40% delle sue vendite globali sarà di veicoli a batteria e a fuel cell, una media che prevede però una quota di solo il 20% in Giappone. Greenpeace considera i due più grandi gruppi globali, Toyota e Volkswagen che, come sappiamo, hanno vendite paragonabili (8,85 milioni e 8,77 milioni di veicoli nel 2020). La quota di veicoli a batteria e a fuel cell (gli unici veramente a zero emissioni locali) è stata 2,43% per il gruppo tedesco e 0,12% per Toyota che, però, produce anche auto a idrogeno, le FCEV.
IBRIDE ALLA SBARRA - Ci si potrebbe stupire del pessimo giudizio dato a Toyota, la casa che ha reso fruibili ed efficaci le automobili ibride: dal 1997, anno della prima Prius, ad oggi ha venduto nel mondo ben 18,7 milioni di ibride full. Greenpeace valuta correttamente che le ibride full riducono le emissioni del 20% rispetto alle vetture ICE paragonabili, ma questo non basta ad evitare un giudizio molto negativo per Toyota. A penalizzarla nello studio di Grennpeace (con criteri poco oggettivi e quindi criticabili, le deductions che vedete nella classifica) è anche la sua azione di lobbyng contro l’auto elettrica, esercitata dal presidente Akio Toyoda anche nel suo ruolo di capo dell’associazione dei costruttori giapponesi (qui per saperne di più). Va detto inoltre che Toyota, “pigra” nel dichiarare un suo piano per uscire dal mercato degli ICE, fa meglio di Stellantis, Daimler, Honda, Hyundai-Kia e Volkswagen riguardo la decarbonizzazione della sua catena di fornitura. Greenpeace punta inoltre il dito contro le plug-in imputando loro emissioni reali di CO2 molto superiori a quelle omologate soprattutto nel modo ricarica molto pubblicizzato dalle Case.
BERSAGLIO SBAGLIATO? - Discorso inverso per General Motors, ben valutata non solo perché ha forniture a basse emissioni, ma anche per le sue dichiarazioni di voler vendere solo veicoli leggeri a zero emissioni locali entro il 2035. Programma ambizioso perché ha un solo modello a batteria venduto negli USA mentre la cinese Hong Guang (prodotta con una joint venture) da sola è il 58% degli EV del marchio, ma la gestione dei suoi materiali non è così trasparente. Un altro dato interessante citato da Greenpeace è la ripartizione delle emissioni di gas serra a seconda dei settori. La parte del leone la fa l’aggregato “generazione di elettricità e calore”, che negli ultimi anni ha emesso stabilmente più del doppio rispetto al settore “trasporti”. Purtroppo i dati sono troppo aggregati, mischiando ad esempio le pestilenziali superpetroliere con i treni elettrici o le caldaie a carbone con gli impianti eolici e fotovoltaici. Un dato è certo: i trasporti emettono certamente molto ma sostituire negli affollati centri urbani tutti gli attuali veicoli con quelli a emissioni locali zero servirebbe a poco se non si mettesse mano anche agli impianti di riscaldamento, spesso obsoleti e privi di qualsiasi accorgimento per l’abbattimento delle emissioni.
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