2.000 KM DI SABBIA E FATICA - Da quattordici anni a questa parte esiste un modo bello e incredibilmente avventuroso per tenere vivo il mito della Fiat Panda 4x4: partecipare al Panda Raid. Sono stati 286, dal 21 al 29 ottobre scorsi, gli equipaggi provenienti da tutta Europa e anche da paesi extra-europei che hanno abbracciato la sfida della sfiancante maratona nel deserto del Marocco: partenza in nave dalla Spagna e giunti in terra africana, davanti agli occhi, solo un orizzonte di sabbia e polvere finissima. Duemila chilometri e sette prove speciali a velocità media (una per tappa) per decidere la classifica finale, con 8-11 ore di guida al giorno e a fine giornata una meritata siesta in accampamenti dove le tende si montano di sera in sera. Protagoniste della carovana, naturalmente, le Panda vecchio modello - quello, per intenderci, nato dalla matita di Giorgetto Giugiaro nel 1980, prodotto fino al 2003 e, nella versione a trazione integrale, divenuto una vera leggenda su ruote.
SUPER PANDA NEL DESERTO - “È incredibile quello che si può riuscire a fare al volante di una piccola Fiat Panda - racconta ad alVolante Walter Bottallo, pilota torinese che insieme al figlio Daniele come navigatore ha all’attivo già quattro Panda Raid, ha vinto l’ultima edizione del Baja 800 in Spagna e ha chiuso undicesimo assoluto l’ultima fatica nel deserto marocchino -. È una macchina che regala soddisfazioni enormi, perché riesce sempre a portarti anche dove pensavi non saresti riuscito ad arrivare”. Fama meritata, perciò, quella d’infaticabile divoratrice di sabbia e ghiaia del mitico Pandino a quattro ruote motrici. A maggior ragione, vista la provenienza dell’endorsement: “Onestamente - ammette Walter - prima del Panda Raid non avevo mai preso in seria considerazione questo modello. È stata una piacevole scoperta: con un minimo di preparazione, rialzandola di qualche centimetro e proteggendo gli organi meccanici più esposti a urti, è praticamente inarrestabile”.
QUANTE INSIDIE TRA LE DUNE - Il Panda Raid è un tributo viaggiante a un’auto il cui significato va al di là del semplice mezzo meccanico, ma è innanzitutto una straordinaria prova di fatica. “È una gara piena di insidie - racconta Walter -, la maggiore delle quali, per i piloti, è la famigerata fesh fesh, come la chiamano gli arabi: si tratta di una polvere di sabbia finissima che ha l’effetto di una nebbia fitta, in cui non si vede praticamente nulla”. Una situazione in cui diventa difficile sia superare sia rimanere “in agguato” dietro l’auto che precede sollevando il polverone. Qui entra in gioco, e fa tutta la differenza del mondo, la bravura del navigatore: “Non è facile orientarsi quando l’unico riferimento del road-book è il cap della bussola - spiega Daniele -. Certe decisioni vanno prese nel giro di pochi secondi e perdere la rotta è un attimo. Se poi si aggiungono buche, rocce, vasche, dune e cordoni, è facile capire come la concentrazione debba essere sempre al massimo”.
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