A pochi giorni dalla presentazione del piano strategico “Renaulution” (qui per saperne di più), l’amministratore delegato della Renault Luca de Meo ha incontrato (in una “tavola rotonda” online) un ristretto gruppo di giornalisti italiani, tra cui noi di alVolante, per spiegare più nel dettaglio come intende rilanciare il gruppo francese da qui al 2025. In carica dal 1° luglio 2020, il manager italiano ha il compito di riportare in attivo la Renault e di guidarla nella transizione verso l’elettrico. Ecco in sintesi le domande che gli sono state rivolte, e le sue risposte.
In un settore dove tutto sta cambiando velocemente, dall’elettrificazione al rapporto con i clienti, che cosa si salverà delle “vecchie” consuetudini dell’industria automobilistica, e che cosa invece sarà molto diverso?
C’è una parte che si può salvare e un’altra che andrà rivoluzionata. Faccio degli esempi: in futuro l’identità del marchio e i codici estetici che lo contraddistinguono saranno sempre importanti. Anche il sistema di distribuzione attraverso i dealer conserverà grande rilevanza, perché sono convinto, magari un po’ controcorrente, che il valore dei nostri prodotti sia “protetto” dal ruolo dei concessionari. La trasformazione della distribuzione in qualcosa d’immateriale rischia di ridurre i margini, e l’industria automobilistica di margini non ne ha molti. Non credo che il nostro modo di lavorare cambierà troppo anche per quanto attiene le logiche che stanno dietro lo sviluppo delle piattaforme e le sinergie nella condivisione dei componenti. Le sinergie, in particolare, avranno un peso ancora maggiore. Certo, in assenza di elementi meccanici caratterizzanti, come il motore termico, il numero dei cilindri o la loro disposizione, distinguere un’auto elettrica da un’altra sarà ancora più difficile. Il cambiamento, comunque, va non solo accettato, ma guidato.
Per quale motivo, oltre al design, si acquisterà un’automobile piuttosto che un’altra?
È difficile interpretare questo cambiamento con gli occhi di oggi, ma credo che i brand diventeranno sempre più “esperienziali”. Ogni casa, cioè, costruirà un’esperienza attorno al prodotto che sarà visto quasi come una scusa, un po’ come già avviene nel mondo della tecnologia. La differenziazione sul prodotto rimarrà, ma sarà meno importante: se una volta avresti voluto un’auto soltanto per il suo motore, domani non sarà più così. Probabilmente ricorderemo i vecchi tempi comprando le auto da collezione.
Il vostro piano di rilancio guarda al futuro, ma anche al passato. Pone l’accento sul recupero dell’identità di marca, come dimostra il concept R5. A proposito: pensate di “rispolverare” anche una R4?
Abbiamo tante idee... La piattaforma è in via di sviluppo e, come succede in altri settori industriali, la storia di un brand gioca spesso una parte rilevante nel suo successo commerciale. Le radici dei costruttori di automobili sono il loro animo, e bisogna riconquistarle. La Renault ha diversi prodotti che sono rimasti nel cuore della gente e che possono essere reinventati con l’elettrificazione. Il prototipo della R5 è piaciuto a milioni di persone: l’impatto mediatico è stato incredibile. Probabilmente un’altra vettura non avrebbe ottenuto lo stesso risultato. Ma affinché questo tipo di operazioni possa funzionare davvero, occorre essere fedeli al concetto originale. Quando ero alla Volkswagen, ho capito che il rilancio del Maggiolino non aveva dato i risultati sperati perché il prodotto non era coerente con lo spirito originale e costava caro, quando invece era stata l’essenzialità ad avere reso iconico, a suo tempo, il primo Maggiolino. Ed essenziale, in qualche modo, dovrà esserlo anche la nuova R5. Dovrà essere abbastanza popolare, pur trattandosi di un’elettrica. Se lavoriamo bene, questa potrebbe essere la vettura che “democratizzerà” l’auto elettrica in Europa.
Quanto tempo ci vorrà prima del passaggio all’elettrico?
Il treno è partito e tutto dipende dalle regole del gioco, ovvero dalle emissioni di CO2 media della gamma. Entro pochi anni non si potranno più superare i 50 grammi di CO2 per chilometro, e quando un motore termico anche ibrido non può scendere sotto i 70, l’aritmetica ci dice che, per ottemperare alle regole, occorrono dei veicoli a emissioni zero. Questi veicoli sono le auto elettriche o a idrogeno. La buona notizia è che abbiamo le tecnologie per affrontare questo cambiamento, quindi dobbiamo spingere in questo senso. Comprendo le ragioni di chi invita a valutare la sostenibilità delle vetture elettriche considerandone l’intero ciclo di vita. Troveremo delle soluzioni anche a questo problema, perché non abbiamo altre possibilità. Soprattutto in Europa, la regolamentazione avrà un impatto enorme. Secondo me, vedremo le ultime auto a combustione nel decennio tra il 2030 e il 2040. L’introduzione delle normative Euro 7, previste per il 2025, che per noi è domani, sanciscono di fatto la morte del classico motore a combustione interna privo di un sistema ibrido.
Un passaggio più rapido all’elettrificazione potrebbe aiutarvi a fare più margini, a guadagnare di più, come sembra indicare il piano “Renaulution”?
Quando sono arrivato alla Renault, un anno fa mi sono reso conto che eravamo già al lavoro su due interessanti piattaforme elettriche, in arrivo a breve, che, grazie alle economie di scala permesse dall’alleanza con Nissan e Mitsubishi, avranno costi competitivi. Poi c’è l’ibrido E-Tech, privo di una trasmissione tradizionale e con un range di potenze che va dai 90 ai 280 CV semplicemente cambiando l’unità elettrica e la “taglia” della batteria. Questi due aspetti del nostro sistema ibrido ci danno un grosso vantaggio economico perché possiamo offrire molteplici livelli di potenza senza stravolgere il propulsore. Inoltre, otteniamo importanti risparmi dal cambio, un componente molto sofisticato in un motore ibrido e quindi costoso. Il vero salto di qualità lo faremo, però, con le batterie della nuova generazione, in arrivo nel 2024. In ogni caso, un motore elettrico costa tre o quattro volte di più di un propulsore tradizionale, e serviranno almeno dieci anni perché i costi di sviluppo e di produzione si dimezzino. Alla luce di queste considerazioni e degli effetti economici a lungo termine della pandemia, non prevediamo un’esplosione delle vendite.
Sarà la vendita delle vetture o l’insieme dei servizi che ruotano attorno all’auto a garantire i maggiori margini alla Renault?
Già oggi una buona parte dei nostri margini provengono dall’area finanziaria e dai servizi post vendita. Un po’ come avviene in tutto il settore, ci siamo ridotti a vendere le auto a margini molto contenuti e guadagnare su altro. L’automobile è da anni una specie di disintegratore verticale del valore: le case automobilistiche non hanno approfittato di molte opportunità per fare margine, raccolte invece da tutte le aziende che ci ruotano attorno. Ci siamo concentrati solamente sulla parte più complicata, lo sviluppo e l’assemblaggio, che costano miliardi. Il nostro obiettivo è quello di riappropriarci di una parte del valore che creiamo, e credo che questa fase di grande cambiamento possa favorirci nel riprendere il controllo di alcune sorgenti di valore e di profitto. Voglio che la Renault torni a fare tecnologia e che i suoi ingegneri possano fare gli ingegneri e non gli assemblatori di prodotti che arrivano dall’esterno. Per questo stiamo tracciando una “roadmap” tecnologica che ci possa portare ad acquisizioni e investimenti che entro dieci anni ci consentano di ricavare un 20-30% del fatturato da nuove attività. Sarà questo uno degli aspetti più importanti che inciderà sul nostro successo.
Qual è l’influenza dello Stato nell’indirizzo strategico della Renault?
L’azionista pubblico riveste grande importanza e bisogna tenerne conto quando si devono prendere alcune decisioni. Ma, una volta comprese le sue priorità, che per esempio riguardano il mantenimento delle attività in Francia e la salvaguardia dei posti di lavoro, da un punto di vista operativo non ho mai avuto alcun problema.
Che cosa ha trovato nella Renault di simile alle altre aziende dove ha maturato le sue esperienze professionali?
La Renault la conoscevo già, ci avevo lavorato un quarto di secolo fa. La cultura aziendale è rimasta più o meno quella, ma, anche grazie all’alleanza con Nissan e Mitsubishi, ora la Renault è una realtà molto più internazionale. La sfida che ho raccolto qui mi ricorda quelle con cui ci si misurava nei primi anni alla Fiat con Marchionne: la situazione è complicata e bisogna rimettere in sesto l’azienda trovando una strategia completamente nuova. La differenza è che in questo caso al volante ci sono io, mentre prima ero copilota.
Come sono i rapporti con l’alleanza Nissan-Mitsubishi? Meno tesi che in passato?
Stiamo cercando di riprendere un discorso che si è interrotto per diversi motivi, spesso non legati a vere e proprie questioni di business. La scommessa è quella di ricostruire un profittevole rapporto di fiducia per entrambe le parti. E, sapendo che i giapponesi sono persone molto pratiche, ci stiamo concentrando su temi altrettanto pratici, che se risolti possano portare benefici a tutti. Sto parlando, per esempio, del posizionamento in determinati mercati o della scelta della prossima generazione di batterie. Il nostro piano di rilancio indica che l’80% dei nostri volumi sarà basato su piattaforme e sinergie con Nissan e Mitsubishi.
Il motorsport è al centro del piano strategico. L’abbiamo vista molto presente ai Gran premi lo scorso anno…
Le corse mi appassionano, è vero, ma il mio non era protagonismo. Volevo dare un segnale forte alla squadra, farle sentire che l’azienda ci tiene. Abbiamo messo in piedi una nuova organizzazione con un nuovo ceo, Laurent Rossi, un grande appassionato del quale mi fido molto, e sta per arrivare Davide Brivio in veste di racing director. Il motorsport è un’importante piattaforma di comunicazione e crea forte spirito di corpo. Quando sono arrivato alla Renault, in tanti mi hanno consigliato di chiudere l’Alpine e il team di Formula 1. Ma io non voglio essere ricordato come colui che ha fatto uscire la Renault dalla F1 dopo 43 anni! Dovevo perciò trovare il modo di reinventare la strategia. Fortunatamente non ho mai avuto a disposizione cosi tanti buoni ingredienti: 400 ingegneri di Renault Sport, gli stessi che tra mille altre cose hanno progettato l’A110, una fabbrica che sembra una manifattura, un team di Formula 1 e un marchio storico come Alpine. L’idea è stata quindi quella di mettere al centro la Formula 1 e spingere l’Alpine nel futuro perché, finora, il suo problema sta in un posizionamento troppo… nostalgico. Sembra l’auto che compra il notaio di Montepellier che sognava di averla quando era giovane; ma, una volta esauriti i notai, hai anche finito di vendere, perché si tratta di un pubblico troppo di nicchia. Spingere l’Alpine verso il futuro significa sfruttare le piattaforme elettriche del gruppo e costruire auto divertenti. Con l’Alpine punto a creare come un mix tra una “mini Ferrari” e una “mini Tesla”, vetture completamente nuove ma con un pedigree che altri non hanno.
(Con il contributo redazionale di Cesare Nebbia).