ANCHE OGGI, FINISCE DOMANI - Quanto petrolio rimane ancora nelle viscere del pianeta Terra? La domanda è vecchia di almeno 170 anni, ossia da quel 1850 che viene considerato l’anno di nascita dell'industria petrolifera moderna. Negli anni ‘70 del secolo scorso avvenne il primo shock petrolifero, con le italiche domeniche a piedi e violente manifestazioni negli Stati Uniti, contro il razionamento dei carburanti, accomunate dallo slogan “More gas now!” Da allora sono passati cinquant’anni e fiumi di petrolio estratto, raffinato e bruciato ma la domanda: ‘quanto petrolio c’è?’ non ha ancora una risposta precisa. Mezzo secolo fa gli esperti avevano stimato che la Terra avrebbe esaurito il petrolio prima della fine del ‘900 ma sembra proprio che le riserve mondiali di petrolio non siano mai state così grandi. L’Adac, l’Automobile Club tedesco, ha provato a fare il punto della situazione, concludendo che la risposta rimane incerta.
PREZZI IN ALTALENA, STIME INAFFIDABILI - Il prezzo dell’oro nero è estremamente instabile: nel 2020, per esempio, è sceso molto perché la domanda è crollata a causa dei lockdown decisi a seguito della pandemia da Covid-19 mentre nel 2022 è salito alle stelle per la guerra in Ucraina. La sensibilità del prezzo a queste cause esterne e la scoperta di nuovi giacimenti ha fatto sì che anche l’Istituto di ricerca economica tedesco DIW sbagliasse clamorosamente le sue stime: nel 2008 aveva infatti previsto che un barile sarebbe costato oltre 200 dollari nel 2018, una quotazione mai raggiunta. Alla fine i prezzi sono regolati da quanto petrolio i produttori immettono sul mercato, deciso dai cartelli quale l’OPEC, più che dalla sua effettiva disponibilità. Le riserve accertate di petrolio sono quasi quintuplicate dal 1960 grazie al progresso tecnico nelle perforazioni tradizionali e allo sviluppo di nuove tecniche quali il fracking. Le trivellazioni si sono così evolute che hanno reso sfruttare giacimenti come quello di Libra, al largo delle coste del Brasile: il suo petrolio si trova a 7 km dalla superficie del mare.
SPOSTANDO IL PICCO SEMPRE PIÙ IN LÀ - Il "picco del petrolio" è il momento nel quale la produzione globale di petrolio è al suo massimo e quindi, una volta superato, la produzione non può che scendere. Questo vertice viene spostato sempre più nel futuro e si è trovato che dagli anni '70 esiste una sorta di "costante del petrolio" che racconta come, nonostante i consumi siano in aumento costante, le riserve di petrolio stimate sono sempre state sufficienti per coprire almeno i 40 anni successivi. Sembra quindi che un calo nella richiesta potrebbe essere indotto dal passaggio alle rinnovabili più che da un esaurimento delle riserve. Le nuove tecniche che hanno aumentato la disponibilità ovviamente non sono ‘gratis’: il fracking - che consiste nell’iniezione di acqua, sabbia e sostanze chimiche nella roccia fino a spaccarla per liberare il petrolio lì intrappolato - può contaminare le falde acquifere e il suolo con sostanze tossiche, innescare terremoti e provocare fughe incontrollate di metano, che ha un effetto-serra decine di volte maggiore di quello della CO2.
BRUCIARLO È UNO SPRECO - Il petrolio è una miscela di idrocarburi, composti fatti di carbonio e idrogeno, che porta con sé anche sostanze più o meno tossiche come zolfo e metalli pesanti quali mercurio, cadmio, arsenico, cromo e piombo. Il carbonio in esso contenuto viene quindi portato in superficie e immesso nell’atmosfera, all’atto della combustione, sotto forma di anidride carbonica, monossido di carbonio e altri composti. Molti di essi sono considerati gas-serra perché trattengono il calore del Sole aumentando quindi la temperatura dell’atmosfera. Si stima che per limitare il riscaldamento globale a +1,5 °C possono essere ancora emesse 260 Gigatonnellate di CO₂, una quantità che verrà raggiunta in 6 anni. Ma c’è anche un altro motivo che sconsiglia di bruciare troppo velocemente il petrolio: esso è una preziosa materia prima che è alla base della sterminata varietà delle materie plastiche, composti che fanno parte da decenni della nostra vita. Il bruciarlo per fare calore e muovere veicoli si configura quindi sia come una danno alla salute planetaria sia come uno spreco colossale. A proposito di previsioni, nel 2015 l’OPEC aveva previsto che nel 2040 la percentuale di automobili con motore a scoppio sarebbe stata ancora del 94% a livello globale (qui la notizia): sarà azzeccata?