IN OTTIMA COMPAGNIA - Al centro del padiglione 2 del polo fieristico del lingotto - che prima di essere riconvertito, per più di mezzo secolo, a cavallo tra gli anni ’20 e ’80 del Novecento è stata la storica fabbrica della Fiat - la neo-cinquantenne Fiat 126 rossa portata ad Automotoretrò da FCA Heritage è una vera calamita per gli appassionati. A distanza di mezzo secolo, la city-car della casa torinese stupisce grandi e piccini almeno quanto le vetture - coetanee ed anch’esse rosse - che le fanno compagnia in fiera: una Fiat 124 Abarth Rally Gruppo 4 da corsa, la mitica Lancia Fulvia Coupé 1.6 HF con cui Sandro Munari e Mario Mannucci trionfarono al rally di Monte-Carlo nel 1972 e l’Alfetta Spider Coupé, suggestiva one-off firmata Pininfarina.
MANCA QUALCOSA… - L’auto, fresca di un accurato restauro conservativo, è in forma a dir poco strepitosa, ma al centro del musetto manca il classico logo a quattro rombi della Fiat. Chiediamo il perché a Roberto Giolito, ex numero uno dello stile della casa torinese (ha disegnato, tra le altre, la Multipla e la moderna 500) e attuale responsabile di FCA Heritage, la divisione che all’interno della galassia Stellantis si occupa della tutela e della valorizzazione del patrimonio storico dei marchi Alfa Romeo, Fiat, Lancia e Abarth. Una dimenticanza in sede di ripristino? Buttandola sul ridere, a Giolito scappa inevitabilmente un sorriso: “Nient’affatto. Al netto di una leggera rinfrescata, l’auto è arrivata dai magazzini dello stabilimento di Cassino nelle nostre officine di Mirafiori perfettamente conservata, esattamente come appare oggi”.
Colpa di qualche operaio dell’epoca, quindi, se davanti manca lo stemmino?
“Non c’è nessuna colpa, per la mancanza del logo. Semmai c’è una ragione molto precisa”.
Quale?
“Non è una Fiat 126 rossa come tutte le altre, ma la numero uno, o meglio, la numero zero, visto che si tratta del primissimo prototipo uscito dalle linee di Cassino”.
Siamo nella fase dell’iter progettuale che precede la pre-serie, quindi.
“Proprio così. In pratica è il risultato di quella che nel gergo industriale si chiama ‘verifica di processo’, ovvero una lavorazione ottenuta con stampi ancora in fase di finitura, per eseguire le prove di assemblaggio. E infatti l’assenza del logo Fiat non è l’unica differenza rispetto a un esemplare di normale produzione. Nella parte posteriore delle fiancate, per esempio, mancano le griglie per il raffreddamento del motore”.
Nel 1972 la Fiat 126 si è trovata di fronte a un compito difficilissimo: sostituire un mito come la 500. A giudicare dai numeri di produzione, ci è riuscita molto bene.
“Direi proprio di sì. Ha letteralmente risollevato le vendite della Fiat, che con l’ultima versione della 500, la R, stavano cominciando a stagnare, ed è rimasta sulla breccia per quasi trent’anni, prodotta in milioni e milioni di esemplari sia in Italia che all’estero. È quindi doveroso renderle il giusto omaggio. Aver portato a Torino, nel nostro hub di Mirafiori, il modello da cui è cominciato tutto chiude idealmente il cerchio, dato che in collezione abbiamo anche l’ultima 126, prodotta nel settembre del 2000 in Polonia”.
Il fascino della 500 è tutt’altra cosa, eppure la 126 oggi continua a fare una gran simpatia. Si vede che è invecchiata bene.
“È figlia di un altro tempo ed è inevitabile che non riproponga soluzioni stilistiche che negli anni ’70 e in quelli successivi sarebbero parse anacronistiche. Non va dimenticato che sulla 126 hanno lavorato menti brillanti, come l’ingegner Sergio Sartorelli, all’epoca responsabile dello stile e della progettazione della Fiat, e Pio Manzù, talento scomparso troppo presto a cui si deve la 127, altra pietra miliare del nostro marchio. Quasi naturale, quindi, che l’auto presenti soluzioni ancora attuali”.
Per esempio?
“L’idea di fondo, partorita da Manzù, fu di riproporre, naturalmente aggiornandolo, lo stile della 850. Il salto in avanti, architettonicamente parlando, fu notevole. Vista da un designer, la 126 presenta centine molto interessanti, così come degne di nota sono le scalfature sulle fiancate, qualcosa a cui all’epoca stava lavorando anche la Land Rover per la sua nuova fuoristrada di lusso, la Range Rover. E poi il cosiddetto cofango, ovvero il cofano anteriore a conchiglia: una soluzione che in fase di montaggio minimizzava i tipici problemi di registrazione”.
Quale rimane il gol più importante, nella carriera quasi trentennale della 126?
“Direi il fatto di essere riuscita a proseguire nel migliore dei modi la storia di successo della 500, offrendo una dotazione più completa e, quindi, allargando la platea dei clienti. La versione base, naturalmente, conquistò l’utente tipico della 500, ma negli allestimenti più curati, come il Personal, la macchina veniva percepita come un modello di categoria superiore. Alla 126 si deve, infine, un altro grande merito: aver traghettato la Fiat verso nuove piattaforme a motore anteriore”.