LA PRIMA ALFA “POPOLARE” - Appena nata, in gioventù e per un bel pezzo della sua esistenza, l’Alfa Romeo Alfasud ha diviso gli automobilisti tra quelli che, da intenditori di tecnica, si meravigliavano del suo elevatissimo tasso innovativo, e quelli che, guidati da facili pregiudizi legati a un nome che pareva condensare tutte le disgrazie di un Sud che funzionava poco e male, non riuscivano nemmeno a considerarla una vera Alfa Romeo. Oggi, però, al traguardo dei cinquant’anni, l’Alfasud unisce, e senza nemmeno l’ombra di una crisetta di mezza età. Ora che è diventata a tutti gli effetti una macchina da collezione, la famigerata ruggine è un ricordo sbiadito, perché sotto quello sciagurato velo di corrosione che le si è appiccicato addosso nella prima parte del suo lungo ciclo vitale vive, più luminoso che mai, il mito dell’Alfa Romeo più venduta di sempre, quella che ha unito il Nord e il Sud del nostro paese, ma soprattutto quella che ha permesso per la prima volta a moltissime persone (più di un milione) di comprare una vettura con il Biscione visconteo sul cofano.
UNA STORIA PIENA DI SIGNIFICATI - Simbolo e motore di un Mezzogiorno depresso in cerca di riscatto, troppo a lungo l’Alfa Romeo Alfasud ha scontato il peso delle sue pur nobili origini meridionali. Costruita nella più classica delle cattedrali del deserto da una manodopera non sempre all’altezza nel pieno del “lungo autunno” delle lotte operaie, l’Alfasud di Pomigliano d’Arco rimane un contenitore pieno di contraddizioni e di significati: da un lato, la straordinaria cifra innovativa del progetto; dall’altro, la più grande sfida nella storia dell’Alfa Romeo, affrontata sullo sfondo di un contesto in chiaroscuro, quello delle Partecipazioni statali, in cui la politica e l’industria pubblica, tra molti sforzi e altrettanti errori, hanno tentato di modernizzare il Sud. Una sfida, purtroppo, vinta solo a metà, perché l’Alfasud è sì riuscita a raddoppiare i volumi produttivi dell’azienda, che con il “miracolo” Giulietta, nel secondo dopoguerra, era già cresciuta di dieci volte rispetto al periodo pre-bellico in cui era una realtà ancora semi-artigianale, ma ha pure segnato l’inizio del lento declino che, nel 1986, ha sancito la fine dell’Alfa Romeo come industria di Stato e il passaggio alla Fiat.
UN PROGETTO GRANDIOSO - Con la costituzione dell’Inca (Industria Napoletana Costruzioni Automobili), l’Alfa Romeo avviò il progetto di una vettura compatta, con un motore boxer a quattro cilindri e la trazione anteriore, da produrre in una nuova fabbrica a Pomigliano d’Arco, già sede di uno storico polo industriale della casa milanese. Il nuovo modello, che si preparava a entrare a gamba tesa nella categoria delle compatte, all’epoca presidiata dalla Fiat, cominciò a prendere forma tra l’estate 1967 e l’inizio del 1968. La progettazione della meccanica fu affidata dall’allora direttore generale dell’Alfa, l’ingegnere austriaco Rudolf Hruska, al collega Domenico Chirico, mentre dello stile si sarebbe occupata la neonata Italdesign di Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani. L’incontro tra la grande vocazione industriale del Biscione e l’estro creativo del designer torinese, autore di una linea snella e filante, che racchiudeva un abitacolo incredibilmente spazioso in rapporto agli ingombri esterni, diede vita a una vettura innovativa.
PICCOLA, GRANDE ALFA - Il primo modello dell’Alfa Romeo Alfasud, presentato al salone di Torino del 1971 e commercializzato a partire dall’anno successivo, aveva una carrozzeria a quattro porte (la versione a due porte non superò lo stadio di prototipo), era spinto da un grintoso 1.2 a quattro cilindri contrapposti da 63 CV accoppiato a un cambio a quattro marce e superava di slancio i 150 km/h. Numeri impensabili anche per le migliori concorrenti dell’epoca. I primi aggiornamenti della gamma risalgono al 1974: la berlina, a cui si affianca una pratica versione giardinetta a tre porte, fu proposta nelle versioni N e L. Nel 1975 debuttarono le versioni 5m, dotate di un cambio a cinque rapporti.
DUE PORTE CON BRIO - Per sottolineare la vocazione sportiva del nuovo modello e scongiurare il rischio che la versione a due porte, già sperimentata in fase prototipale, avesse un’immagine non all’altezza del marchio, nel 1973 fu lanciata l’Alfasud TI, acronimo che sta per Turismo Internazionale e rimanda ai fasti delle 1900, Giulietta e Giulia, le berline da famiglia che vincevano le corse negli Anni 50 e 60. Grazie all’adozione di un carburatore a doppio corpo e a un aumento del rapporto di compressione, il “milledue” boxer del modello base passò da 63 a 68 CV, sufficienti a spingere l’auto alla soglia dei 160 km/h.
CHE SPRINT! - Se con la TI, dotata di spoiler posteriore e ruote più larghe, l’obiettivo di rendere più accattivante l’estetica dell’Alfasud era stato centrato, è con la Sprint del 1976 che la compatta di Pomigliano d’Arco varca la soglia d’accesso al mondo delle piccole sportive. Nel disegnarla, Giugiaro s’ispirò alla “sua” Alfetta GT, riproponendone in scala ridotta le linee tese e spigolose e l’andamento discendente del tetto verso il padiglione posteriore. Con un aumento della corsa dei cilindri da 59 a 64 millimetri, il motore raggiunse una cilindrata di 1286 cc e una potenza di 76 CV, che divennero 79 nel 1978, anno del debutto di un nuovo 1.5 da 84 CV. Nel 1979 la gamma si amplia con le versioni Veloce ad alimentazione singola: il 1.3 guadagna 7 CV, il 1.5 undici, per una velocità massima di 175 km/h.
LA SECONDA SERIE È SUPER - Gli iniziali problemi di qualità, il più allarmante dei quali era rappresentato dalla corrosione precoce di alcune parti della carrozzeria, vennero risolti nel 1977 con il lancio della seconda serie dell’Alfa Romeo Alfasud, denominata Super. Insieme ad alcuni aggiornamenti esterni e interni, furono adottati metodi produttivi più efficaci che prevedevano il trattamento Zincrometal, un processo in grado di sconfiggere l’incubo della ruggine.
IL BOOM DELLA PLASTICA - Negli Anni 80 le nuove tendenze stilistiche suggerirono alle case costruttrici un maggior impiego di parti in plastica verniciate di nero. L’Alfa Romeo abbracciò questa nuova moda, scovando un modo semplice ed economico per rinnovare l’immagine dell’Alfasud. Oltre ai nuovi paraurti in plastica integrati, il nuovo modello sfoggiava anche una mascherina ridisegnata e fari posteriori di maggiori dimensioni.
FINALMENTE ANCHE A TRE PORTE - Sebbene un layout della carrozzeria con il portellone fosse stata ampiamente studiata prima della messa in produzione del primo modello, per ragioni di costo l’Alfa Romeo Alfasud a tre porte entrò in listino solo nel 1981. Il bagagliaio era leggermente più piccolo rispetto alla quattro porte, ma decisamente più versatile e sfruttabile, soprattutto abbattendo lo schienale posteriore. Questa configurazione fu adottata anche per le due Alfasud TI, la 1.3 e la 1.5, entrambe ad alimentazione singola.
PASSAGGIO DI CONSEGNE - All’alba degli Anni 80 i temi della sicurezza e della riduzione dei consumi destarono l’attenzione dei grandi costruttori. La sfida dell’auto del futuro, per l’Alfa Romeo, passò anche dalle Alfasud Esvar - Svar, che introdussero il sistema CEM (Controllo elettronico motore) e svariate migliorie aerodinamiche. Sulla Svar, in particolare, furono sperimentati le sospensioni e i freni che avrebbero equipaggiato la futura 33, ultima gloriosa erede, prodotta dal 1983 al 1994 in due serie, dell’Alfasud, della quale conservava l’impostazione meccanica e la brillantezza di guida, oltre che l’inconfondibile e accattivante rombo del motore boxer.
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