UNA SFIDA EPICA - Trazione posteriore contro trazione integrale. Compressore volumetrico contro turbo. Tradizione italiana contro innovazione tedesca. Da un punto di vista tecnico e “filosofico”, sono queste le tre grandi dicotomie intorno alle quali, all’inizio degli anni ’80, si è consumato uno tra i più agguerriti e affascinanti duelli che la storia dei rally ricordi: quello tra la Lancia 037 e l’Audi Quattro. Nel pomeriggio di ieri, interamente dedicata a queste due grandi regine del Gruppo B (scoprile qui le altre), nell’ambito della rassegna “The Golden Age of Rally” (qui per saperne di più) si è svolta una bella conferenza d’approfondimento. A rievocare quei tempi, in cui sulle stradine del Mondiale rally andava in scena uno spettacolo unico di velocità, coraggio e sprezzo del pericolo capace di infiammare le folle persino più della Formula 1, sono stati alcuni dei protagonisti che hanno contribuito a renderli indimenticabili.
COME FARE A BATTERE L’AUDI? - “Quando l’Audi debuttò in gara con una vettura a quattro ruote motrici capimmo che i rally non sarebbero stati mai più quelli di prima. Nel 1981 e nel 1982 vinsero l’impossibile, ci domandavamo come saremmo potuti riuscire ad affrontarli, anche perché noi non disponevamo di quella tecnologia. Dalla nostra, però, avevamo l’esperienza della Fulvia e della Stratos, con le quali avevamo vinto dei Mondiali”, racconta in videocollegamento Cesare Fiorio, all’epoca direttore sportivo del team Lancia. E proprio della Stratos la nuova “arma” forgiata dalla casa torinese per fronteggiare l’Audi riproponeva i maggiori punti di forza: leggerezza e agilità, soprattutto. “All’inizio vagliammo varie ipotesi - ricorda Sergio Limone, l’ingegnere che della Lancia 037 ha progettato la raffinata struttura tubolare su cui poggia -. Partimmo con una pseudo-Stratos equipaggiata con un V8 di derivazione Ferrari, per poi passare a una Lancia Delta con il motore davanti e il cambio dietro. Pensammo persino a una Fiat Ritmo sulla falsariga della Renault 5 Maxi Turbo, che però avrebbe rischiato di esserne una copia. Insomma, quelle erano cose già viste…”.
FILOSOFIE OPPOSTE - Per giocarsela alla pari con l’Audi, con la consapevolezza di non poter contare sul vantaggio della rivale tedesca in termini di trazione sui fondi più “difficili”, bisognava provare a fare qualcosa in più. A Torino si convinsero che la scelta migliore sarebbe stata puntare su un’auto concettualmente assai più vicina alle corse, rispetto alla Quattro. La quale, spiega Limone, anche nella sua versione da competizione era rimasta fondamentalmente una macchina di serie: “Ne comprammo una nuova per studiarla, e il nostro pilota e collaudatore Giorgio Pianta per un periodo la utilizzò persino come auto di servizio - rammenta il progettista torinese -. La ricordo come una grossa berlinona, alla quale, fondamentalmente, aggiunsero un turbocompressore al motore a cinque cilindri”. Tutt’altra sofisticazione caratterizzava il progetto della Lancia 037, un’auto, al netto del suo handicap di motricità dovuto alle sole ruote motrici posteriori, decisamente più avanzata da un punto di vista tecnologico: “La progettammo con la massima umiltà - racconta Limone -. Cercai di eliminare i difetti della 131 Abarth e di esaltare i pregi della Stratos, studiando due telai tubolari, uno anteriore e uno posteriore, ai quali ancorare quella che, di fatto, era la scocca di una Lancia Beta Montecarlo”.
UNA MACCHINA PERFETTA - Nonostante il poco tempo a disposizione per la progettazione e lo sviluppo (dal foglio bianco al debutto dell’auto trascorsero meno di due anni, nei quali bisognava anche produrre 200 esemplari di serie per ottenere l’omologazione), con la 037 la Lancia riuscì a costruire un’auto leggera, scattante ed estremamente maneggevole, altamente spettacolare e sempre sincera nel “comunicare” con il pilota. “Sin dal primo test alla Mandria intuimmo che quell’auto era praticamente perfetta in tutto”, rivela Christian Geistdörfer, lo storico navigatore che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha condiviso l’abitacolo con il due volte campione del mondo Walter Röhrl (nella foto qui sopra) e nel 1983 ha contribuito a fare della 037 l’ultima vettura a due ruote motrici iridata nella categoria regina dei rally.
CHE FATICA, GUIDARE LA QUATTRO… - Tutt’altro paio di maniche era cercare di domare gli umori, spesso imprevedibili, dell’Audi Quattro. Una specie di velocissimo “carro armato” tritasassi che, per essere portato al limite, richiedeva una sensibilità e un talento fuori dal comune. “Non era certo una macchina sincera ed era terribilmente sottosterzante”, spiega Fabrizia Pons, leggendaria copilota ex Audi che accanto alla francese Michèle Mouton (nella foto qui sopra) ha tinto con una fresca e romantica sfumatura di rosa un mondo per eccellenza maschile, sfiorando il titolo mondiale nel 1982. “Ricordo in particolare la Quattro degli inizi: era come un bebè che aveva ancora bisogno del latte della mamma e non era ancora passato agli omogeneizzati. Come team avevamo mezzi incredibili - ammette la navigatrice torinese -, ma la verità è che noi non avevamo un grande stratega come Cesare Fiorio”.
IMPROVVISARE È UN’ARTE CHE NON ABITA A CASA DI TUTTI - Bravissimo nel tenere le fila di una squadra dal talento, dalla coesione e dalle capacità davvero uniche (non è una leggenda che i meccanici della Lancia, per smontare e rimontare il cambio della 037, impiegassero appena 11 minuti), Fiorio era anche un abile e astuto improvvisatore. Tra i guizzi più creativi del manager torinese, quelli sfoderati al Montecarlo del 1983, dove i pronostici erano tutti a favore dell’Audi, hanno contribuito a far entrare quella corsa nella leggenda. In quell’occasione, la Lancia giocò d’astuzia, decidendo di sfilare le gomme chiodate alla 037 di Röhrl e Geistdörfer nel tratto di una prova speciale in cui l’asfalto sembrava abbastanza asciutto da appianare lo svantaggio di motricità nei confronti delle vetture tedesche. Ma il vero colpo di genio fu un altro. Il giorno prima di una prova, resosi conto che i chilometri d’asfalto lungo i quali si sarebbe disputata, così ammantati di neve, avrebbero spianato la strada all’Audi, Fiorio andò a protestare direttamente alla Gendarmerie: “Raccontai spaventato agli agenti che avevo avuto un brutto incidente e avevo rischiato quasi di ammazzarmi. Dissi loro che era inaccettabile che non tenessero pulite le strade e alla fine li convinsi, perché il giorno dopo la neve era sparita. Anche se, per sicurezza, prima della gara ripassammo a spargere un po’ di sale per togliere il ghiaccio”. Che tempi, quei rally…