AL MUSEO GLI UOMINI E LE MACCHINE DEL MITO - Le Giulia TZ e TZ2, le GTA e GTAm, le 33 prototipo. Le monoposto di Formula 1, il trofeo Alfasud e poi i rally, con le Alfetta GT e GTV. Senza dimenticare i motori marini, pure quelli capolavori irripetibili, intrisi dal primo all’ultimo bullone della genialità e del talento di una squadra corse come forse non se ne sono viste mai nel panorama automobilistico. “Dall’asfalto allo sterrato, all’acqua, a parte biciclette e monopattini abbiamo corso con tutto quello con cui si poteva correre”, scherza da sotto i suoi folti baffi grigi Giovanni Arosio, veterano dell’Autodelta che nello storico reparto sportivo dell’Alfa Romeo entrò nel 1967 accompagnato dal papà. “Avevo sedici anni e non potevo ancora firmare il mio contratto da apprendista. Ricordo come fosse ieri il mio primo giorno di lavoro: entrai in un capannone e la prima cosa che vidi fu Franco Scaglione che accarezzava il profilo di una 33 Stradale”, racconta il meccanico milanese. Insieme a lui, nella splendida giornata di ieri organizzata dal Museo Storico Alfa Romeo, con la collaborazione dell'Alfa Romeo Club Milano, per festeggiare il 60° compleanno dell’Autodelta, tanti colleghi coi capelli bianchi e in spalla un sacco colmo di belle storie da raccontare.
L’AUTODELTA, UNA GRANDE FAMIGLIA - Giuseppe Callegher, 82 anni e un’intera vita spesa ad assicurarsi che sotto i cofani dei bolidi del Biscione fosse sempre tutto in ordine, sale sul palco sorretto dal suo inseparabile bastone. Cammina piano ma sicuro. Appena mette in moto il motore dei ricordi, la sua voce trema d’emozione: “L’Autodelta è stata una grande famiglia, eravamo come fratelli. Insieme abbiamo condiviso sogni e sacrifici”. La tenerezza delle sue parole, le sue lacrime di commozione valgono più di mille parole. E spiegano bene cosa deve aver significato, per gli uomini dell’Autodelta, aver dato un contributo così importante ai sogni di una casa automobilistica che vivrà per sempre in una sfera romantica e ha pochi eguali al mondo per le emozioni che riesce a regalare.
UN’EPOCA IRRIPETIBILE - Di sogni, aggrappato al volante come un falco, attraverso le sue grandi lenti ne ha rincorsi molti e agguantati altrettanti Andrea De Adamich (nella foto più in basso). Il pilota triestino classe ’41, campione europeo Turismo nel 1966 e 1967 con la’Alfa Romeo Giulia GTA, ricordando quei tempi gloriosi parla di “momenti irripetibili”. E non ha dubbi quando afferma che “nessun altro reparto corse può essere paragonato con l’Autodelta”. Il pilota più veloce di quegli anni? Secondo De Adamich era Gijs van Lennep: “Un olandese che in Sicilia, alla Targa Florio, dava dieci secondi al giro a Vaccarella, che era palermitano e su quelle strade sapeva esattamente quando alzare il piede e quando tenerlo giù a tavoletta”.
CHITI, UN UOMO DI GRANDI PASSIONI - Di Carlo Chiti - il vulcanico ingegnere che, dopo averla fondata il 5 marzo 1963 con Lodovico Chizzola, sull’Autodelta ha regnato fino al 1984 - è emerso un ritratto di profonda e romantica umanità. Toscano fino al midollo, accanto a quella per le automobili il “Chitone”, com’era soprannominato non solo per via della sua statura intellettuale, coltivava un’altra grande passione: quella per il buon cibo. “A tavola non mangiava, s’ingozzava”, ricorda in tono scherzoso Dario Luraghi, il figlio dell’allora presidente dell’Alfa Romeo Giuseppe Luraghi.
CORSE, BUON CIBO E… TANTI ANIMALI - Ma di Chiti, oltre che la finissima intelligenza e il grande spessore culturale, chi l’ha conosciuto da vicino ricorda l’amore viscerale per gli animali. Ne curava e raccattava in gran quantità nei dintorni di Settimo Milanese e pare non sia affatto una leggenda che nei capannoni dell’Autodelta ci fossero più cani che operai. Ovviamente, guai a chi glieli toccava. “Una volta entrai nel suo ufficio, che come al solito era pieno di carte - racconta in un videomessaggio il pilota ex Alfa Romeo Toine Hezemans -. Davanti alla sua scrivania c’erano due sedie: una era occupata da due gatti, l’altra da due cani. All’inizio rimasi immobile, poi avanzai lentamente e, un po’ titubante, tentai di spostare uno di quegli animali. ‘Che fai?’, mi rimbrottò Chiti. ‘Non lo vedi che lì c’è seduto un cane?”.