SOGNO O REALTÀ - Ho visto cose che voi umani… più colonnine di ricarica che erogatori di carburante e più automobili a rifornirsi alle prime che dai secondi… Sogno dell’ecologista, incubo del petroliere o l’anteprima di quel che potrebbe succedere? L’ultima idea è giusta: lo scenario è quello norvegese dei nostri giorni, la realtà di un Paese che, complici alcune sue caratteristiche particolari, ha imboccato già da anni, pur con diverse contraddizioni, la strada della mobilità elettrica.
NUMERI DA CAPOGIRO - Le statistiche assegnano al Paese nordico un posto che sembra fuori dal Mondo: l’80% delle vendite di auto nuove nel 2022 era costituito dalle auto elettriche, che già nel 2019 sono state il 50% del totale (questo dato è all’origine della decisione di Hyundai di interrompere le vendite di auto a combustione in Norvegia da quest’anno). Per fare un paragone, l’amministrazione Biden punta a raggiungere questa percentuale nel 2030 mentre in Norvegia già nel 2025 cesserà la vendita di vetture con motore termico. Questo Paese è molto particolare: ha solo 5,5 milioni di residenti in un territorio più grande dell'Italia e l’energia idroelettrica è abbondante. Nello stesso tempo, vista l’instabilità causata dal conflitto in Ucraina, le esportazioni norvegesi di combustibili fossili hanno segnato un nuovo record arrivando a 162 miliardi di euro. Se gli ambientalisti mugugnano, notando che "stiamo esportando inquinamento" e ricordando di aver chiesto azzerare la produzione di petrolio e gas entro il 2035, il governo non intende diminuire la produzione. Amund Vik, il segretario del Ministero norvegese del petrolio e dell'energia, sentito dal New York Times, ricorda che "abbiamo diversi giacimenti in produzione, o in fase di sviluppo, che forniscono sicurezza energetica all'Europa".
LA RETE HA RETTO - Questa storia elettrica così lunga ha portato ad altri dati ”pesanti”: in Norvegia un’automobile su 5 è elettrica e solo una su 10 non è ibrida o alimentata a batteria, numeri che sono record mondiali. La precocità di questa spinta verso le auto elettriche deriva anche da motivazioni nazionalistiche: i governi volevano sostenere la start-up Think, focalizzata nei veicoli elettrici e per qualche tempo nell’orbita di Ford. I veicoli a batteria hanno quindi iniziato ad essere esentati dalle tasse sul valore aggiunto, dai dazi sulle importazioni e dai pedaggi autostradali. Il governo ha anche sovvenzionato la costruzione di stazioni di ricarica rapida, fondamentali in un paese nel quale la scarsa popolazione è sparsa in un Paese grande quasi quanto la California. Nonostante la grande diffusione dei veicoli elettrici la domanda di energia è aumentata poco anche perché la maggior parte dei proprietari ricarica le auto di notte (anche se c’è ancora una certa scarsità di punti di ricarica condominiali), quando la domanda è inferiore e l'energia è più economica. Gli squilibri nella rete sono stati modesti e il provider energetico di Oslo e dintorni, Elvia, ha dovuto installare solo poche nuove sottostazioni e trasformatori, provvedimenti che potrebbero bastare, in attesa dello scambio bidirezionale V2G, anche in Italia (qui la notizia).
OCCUPAZIONE IN CHIAROSCURO - Il New York Times ha anche riportato che le ricadute sull’occupazione per concessionari e officine sono ancora contenute: i veicoli elettrici richiedono meno manutenzione rispetto alle auto a benzina, ma ne hanno comunque bisogno e ci sono molte auto con motore termico, comprese le ibride, che avranno bisogno di cure per anni. Nel frattempo si stanno impiantando nuove attività connesse alle auto elettriche, come quella creata in un'ex acciaieria diventata un centro di riciclaggio delle batterie. Questo impianto è di Hydrovolt, una joint venture fra il produttore di alluminio Norsk Hydro e Northvolt, il produttore di batterie che potrebbe aiutare a diminuire la dipendenza europea dalla Cina (qui per saperne di più). I concessionari dei marchi tradizionali che hanno già in gamma auto elettriche, come Volkswagen e Volvo, hanno semplicemente visto spostarsi una parte del loro business dal termico all’elettrico. Per loro l’insidia maggiore arriva da marchi quali i cinesi BYD e Xpeng e Tesla (la Model Y è stato il terzo modello più venduto al mondo nel 2022, qui la news), il cui share nel settore è del 30% rispetto al 19% della triade Volkswagen/Skoda/Audi.
LA SOLUZIONE È… PEDONALIZZARE - La lentezza della ricarica può anche essere un’opportunità come rilevato dalla catena di distributori Circle K. L’azienda ha notato che le persone che ricaricano trascorrono più tempo nelle stazioni di servizio e questo aumenta il loro consumo di cibo e altri servizi anche se il carburante rimane un'importante fonte di ricavo. L’esperienza di Oslo investe anche il trasporto pubblico - tutti gli autobus urbani saranno elettrici entro quest’anno e molti traghetti locali sono elettrici - e le costruzioni. In effetti i costruttori che partecipano ai bandi comunali hanno maggiori possibilità di vincere l’appalto se utilizzano attrezzature e mezzi di cantiere elettrici. Queste azioni combinate hanno già prodotto drastiche diminuzioni dei livelli degli ossidi di azoto, composti accusati di causare smog, asma e altri disturbi, al punto che Tobias Wolf, ingegnere capo per la qualità dell'aria di Oslo, ha affermato che "Siamo sul punto di risolvere il problema degli NOX".
IL PARTICOLATO - La diffusione dei veicoli elettrici però enfatizzando il problema del particolato prodotto dagli pneumatici e dall’asfalto: i veicoli elettrici sono più pesanti delle auto con motore termico e questo causa più abrasione e rilascio di micropolveri. E se il particolato prodotto dai freni diminuisce, grazie alla frenata rigenerativa, e può essere ulteriomente abbattuto da sistemi di aspirazione (qui per saperne di più), quello delle gomme può essere diminuito con veicoli via via più leggeri.