ACCORDO RAGGIUNTO - Dopo due settimane di negoziati, i quasi 200 paesi partecipanti alla Cop28, l’edizione 2023 della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è svolta a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, hanno trovato un punto d’incontro sulla “transizione dai combustibili fossili" nei sistemi energetici per raggiungere l’obiettivo “emissioni zero” nel 2050. Per la prima volta nella storia della plenaria è stato esplicitato il riferimento a tutti i combustibili fossili, e il presidente della Cop28, l’emiratino Al Jaber, ha parlato di “un accordo storico” che lo rende “orgoglioso”.
IL COMPROMESSO - Tuttavia bisogna considerare che l’accordo è frutto di un compromesso, e nel testo non è menzionato alcun impegno esplicito all’eliminazione graduale dei combustibili fossili, caldeggiato dall’Unione Europea. Ciò significa che il futuro dei motori a scoppio, insomma, è ancora in larga parte da scrivere, e non è detto che spariranno nel 2050. Il testo dell’accordo spiega che per “limitare il riscaldamento globale a 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali” serve una riduzione delle emissioni globali di gas serra “del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019”. Il problema è che le emissioni di anidride carbonica non stanno diminuendo come auspicato, ma continuano ad aumentare.
OBIETTIVI A RISCHIO - Un cambio di rotta c’è comunque stato, perché la precedente bozza dell’accordo parlava di misure contro l’inquinamento che i paesi “potevano” adottare, mentre l’accordo finale li “invita” a impegnarsi per “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell'efficienza energetica entro il 2030”. A ogni modo, va considerata la posizione contraria della Cina e dell’India, le cui obiezioni non hanno permesso di quantificare gli obiettivi: ciò significa, in pratica, che nulla impedisce ai paesi di scegliere la linea che preferiscono, con il rischio di non raggiungere l'obiettivo fissato dall’accordo.
BASTA LA “TRANSIZIONE”? - Il paragrafo cruciale del testo è quello in cui si afferma la necessità di “abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l'azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050, in linea con la scienza”. È senza dubbio un passaggio storico, perché per la prima volta in quasi trent’anni di negoziati sul clima tra i paesi delle Nazioni Uniti un testo decisionale identifica come causa principale dell’emergenza climatica i combustibili fossili. La direzione di marcia, insomma, sembra chiara, ma la “transizione” menzionata dal testo non sembra un segnale abbastanza forte da fermare gli investimenti in petrolio, carbone e gas naturale.
LA POSIZIONE DEI “PETROSTATI” - La loro eliminazione graduale, sostenuta da 130 paesi, è stata infatti contrastata duramente dai “petrostati”, in primis dall’Arabia Saudita, che per continuare a rimanere tra i player più importanti nel mercato dei combustibili fossili sta spingendo molto sulle tecnologie CCUS (Carbon Capture, Utilisation and Storage), sulle quali sta lavorando anche l’Eni e che puntano a ridurre le emissioni di gas serra catturando e stoccando la CO2 in formazioni rocciose profonde o convertendola per la produzione di carburanti, sostanze chimiche, materiali da costruzione.
FACILITARE LA TRANSIZIONE - Parlando di “combustibili di transizione”, l’accordo riconosce loro un ruolo importante nel facilitare la transizione climatica, garantendo al contempo la sicurezza energetica. Per i sostenitori delle fonti rinnovabili ciò equivale a una grande vittoria per l’industria dei combustibili fossili, che negli Stati Uniti ha già posto le basi per una grande espansione della produzione e dell’esportazione di gas naturale liquefatto.
LE INTENZIONI CI SONO. E I SOLDI? - Ma a lasciare perplessi, al di là di ogni buon proposito e delle diverse posizioni sul tema, è ciò che manca nel testo dell’accordo, ossia un riferimento preciso alle cifre che serviranno per generare energia pulita. Il documento parla di trilioni di dollari di investimenti, ma non fornisce alcun dettaglio su quanti, né tantomeno sul quando verranno erogati. Inutile dire che, senza parlare di soldi, l’obiettivo neutralità carbonica entro il 2050 scricchiola, prestando ancor di più il fianco alle critiche, anche alla luce delle sue tante contraddizioni.