COMPIE 75 ANNI - Pellerossa, John Wayne e alcuni tra i percorsi di fuori strada più affascinanti del mondo: questa è la regione di
Moab, nello stato americano dello
Utah. Per scoprirla, non c'è niente di meglio della più americana delle 4x4, la
Jeep, che quest'anno spegne spegne 75 candeline. Proprio per celebrare il traguardo, al Salone di Ginevra di inizio marzo è stata presentata un'edizione limitata (75th Anniversary, appunto) di tutti i modelli, ordinabile dalla metà di questo mese con consegne da maggio in avanti. I modelli si riconoscono per gli inserti nei paraurti e per il contorno delle feritoie color bronzo (ripreso anche sulle bocchette d'aerazione e in altri particolari dell'abitacolo), tinte specifiche e il profilo del marchio in arancione (della stessa tinta sono anche le impunture sui sedili): proprio con queste vetture affronteremo il percorso.
ARRAMPICATRICE - Lasciataci alla spalle la cittadina di Moab, la nostra colonna di Jeep si spinge nell'entroterra e inizia a salire lungo terreni polverosi in direzione della formazione rocciosa di Courthouse Rock. Siamo a bordo di un verde esemplare di Wrangler Unlimited (a quattro porte), la più iconica e “dura” 4x4 della casa: con le ridotte inserite, anche senza premere l'acceleratore avanza a passo d'uomo sulle ripide salite. Scalini anche di 30 cm, buche, “twist” (i passaggi nei quali due ruote diagonalmente opposte rimangono in aria) sono “digeriti” quasi con facilità, grazie anche al 3.6 V6 da 284 cavalli che spinge deciso, con regolarità e in silenzio. Il cambio automatico (a cinque marce e tutt'altro che rapido, ma noi non useremo più della seconda marcia) ci permette poi di concentrarsi sul pedale dell'acceleratore nei passaggi più ostici.
VAI DOVE VUOI - Grazie agli angoli di attacco particolarmente favorevoli (per merito anche ai paraurti “americani”, poco sporgenti ma illegali in Europa a causa delle norme per la protezione dei pedoni), la Wrangler si “beve” gli ostacoli uno dopo l’altro. Salite e discese sono così ripide che spesso ci si trova a non vedere altro che il cofano e il cielo o la terra. Fondamentale, allora, è seguire le indicazioni date a gesti da guide locali che indicano la direzione verso cui puntare o dove sterzare per evitare un salto troppo impegnativo o una roccia sporgente che potrebbe lacerare un pneumatico. Che in fuori strada la Wrangler sia di un'altra categoria, lo si nota anche quando è il nostro turno di essere aiutati: se alle auto che ci precedono hanno fatto ben attenzione a dove far mettere le ruote per evitare "toccatine" a paraurti e fondo, quando si accorgono su che vettura siamo, spesso le guide abbassano le mani e ci fanno semplicemente cenno di passare dove vogliamo.
“SCARPE” GIUSTE - Dopo la salita rocciosa, si prosegue su una pista sabbiosa, con le ruote che affondano e una nuvola rossa che si solleva al nostro passaggio. Le Goodyear Wrangler (cos'altro potremmo montare su questa vettura?) assicurano comunque la corretta aderenza, a dispetto del fatto di essere gomme da fuori strada, ma non iper-specialistiche. La direzione è quella di due speroni isolati che quasi si fronteggiano: Monitor Rock e Merrimac Rock. Arrivati sotto la roccia, siamo a soli 1500 metri di altitudine ma il vento è freddo e tagliente. Le formazioni rocciose sotto le quali parcheggiamo hanno 180 milioni di anni e si sono formate quando il mare ricoprì quello che al tempo era un deserto sabbioso simile all'attuale Sahara. Con il tempo, la pressione ha trasformato la sabbia in roccia che, quando l'acqua si è ritirata, è poi emersa. In seguito, il vento e le piogge hanno eroso questa roccia fino a farle prendere l'aspetto attuale.
A CAPOFITTO - È il momento di una breve sosta, per ammirare paesaggi mozzafiato e un orizzonte che mai ci è parso così lontano; poi, ci viene proposto di lasciare la Wrangler per una più lussuosa Grand Cherokee, nel suo bel “vestito” verde militare pastello. Fortunatamente, è dotata sia di sistema di trazione integrale Quadra-Drive II (che aggiunge il differenziale a controllo elettronico posteriore) sia di sospensioni pneumatiche: così, con un semplice tasto aumentiamo la “luce” da terra. Visto il levigato fondo roccioso, impostiamo su “Roccia” la modalità di guida e proseguiamo. L'elettronica gestisce la ripartizione della potenza sulle ruote (che calzano lo stesso tipo di gomme della Wrangler, con la quale la vettura condivide anche il motore) e riusciamo a “tenere il passo” con poche difficoltà. Presto, però, le salite si fanno molto ripide e notiamo che la bianca roccia è striata di nero, quello del battistrada lasciato dalle vetture che ci hanno preceduto. Nelle discese, poi, si procede alla cieca, fidandoci delle indicazioni delle guide: spesso, sono così ripide che le giacche che abbiamo poggiato sul divano cadono contro gli schienali delle poltrone, e rinunciamo a rimetterle al loro posto.
CIVILE A CHI? - Dopo qualche ora di marcia, arriviamo sotto i pinnacoli delle Determination Towers, dove lasciamo la Grand Cherokee e ci godiamo un pranzo sostanzioso e un caffè preparato sul fuoco: ci sentiamo un po' cowboy da film, anche a causa della polvere sottile e rossa (dovuta alla forte percentuale di ossido di ferro) che si deposita sui nostri abiti. Cambiamo ancora vettura e ci “imborghesiamo”, prendendo le chiavi di una Cherokee 3.2 V6 nella nuova versione Overland. Questo è l'allestimento più lussuoso, riconoscibile da paraurti, sottoporta e passaruota in tinta e per gli specifici cerchi di 18'' cromati; ha anche una dotazione particolarmente completa, che in Italia non farà a meno del tetto panoramico. Quella che guidiamo ha pneumatici quasi stradali e, non a caso, sarà proprio una vettura "gemella" l'unica a trovarsi con una gomma a terra, tagliata da una roccia. A dispetto delle premesse (e, diciamolo, del nostro scetticismo) la Cherokee non si fa distanziare di un metro: dobbiamo solo affrontare con un po' più di attenzione i dossi, specie in uscita, quando il paraurti posteriore rischia di “toccare” (cosa, che, purtroppo, facciamo un paio di volte col fondo della vettura, che non dispone di sospensioni regolabili in altezza). La parte più difficile è comunque terminata, e ora si tratta solo di seguire le vetture che aprono la strada fino a un punto panoramico dal quale dominiamo il Surprise Canyon, una stretta gola che, quando ci sono le piogge torrenziali, si riempie di piccole cascate. Dopo quasi otto ore di guida “sporca” fra territori che fino a ora avevamo visto solo nei film western, adesso dispiace quasi dover tornare a casa...