MIRE ESPANSIONISTICHE - Costrtutori cinesi starebbero pensando all’acquisizione delle fabbriche tedesche destinate a essere chiuse. L'Indiscrezione viene dall’agenzia Reuters, che cita fonti vicine al Governo cinese. Le fabbriche finite nelle mire della Cina sarebbero Dresda (nelle foto), stabilimento con 340 dipendenti che produce la ID.3 elettrica, che chiuderà i battenti prima della fine del 2025, e Osnabruck, dove sono impiegati 2.300 dipendenti che assemblano la T-Roc Cabrio, destinato a cessare le proprie attività entro il 2027. L’acquisizione di una o più fabbriche tedesche metterebbe la Cina in una posizione di vantaggio consentendo al Paese del Dragone di aggirare i dazi comminati dall’UE sulle elettriche importate dalla Cina.
PERIODO DIFFICILE - La Volkswagen sta affrontando il periodo più difficile della sua storia, messa in ginocchio dal rallentamento economico globale e dalla transizione ancora incerta verso le tecnologie green. A fine dicembre, dopo un’estenuante trattativa, ha trovato l’accordo con in sindacati che prevede la perdita di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 evitando licenziamenti diretti, in cambio della rinuncia da parte del costruttore dei tagli salariali e della chiusura immediata di alcun stabilimento.
IL PESO DELLA POLITICA - L’ostacolo principale per queste acquisizioni, che potrebbero generare per il Gruppo Volkswagen tra i 100 e i 300 milioni di euro per ciascuna fabbrica, è costituito dall’orientamento politico del Governo tedesco, che dipenderà dalle prossime elezioni di febbraio. L’economia cinese e quella teutonica si sono intrecciate profondamente durante i 16 anni di mandato di Angela Merkel, grazie agli investimenti e alle esportazioni delle case automobilistiche tedesche in Cina e alla successiva costituzione delle join venture con le aziende locali. Mentre l’attuale esecutivo spinge per ridurre la dipendenza dalla Cina.
HANNO GIÀ INIZIATO - La maggior parte delle aziende cinesi fino a ora ha optato per l’apertura di nuovi stabilimenti in Paesi che garantiscono manodopera a basso costo e con sindacati più deboli, come la BYD, che ha scelto l’Ungheria e la Turchia. La Leapmotor, che ha siglato una joint venture con Stellantis, sta pianificando la produzione in Polonia, e Chery quest’anno inizierà a produrre EV in uno stabilimento ex Nissan in Spagna.