ALTA TENSIONE - Nella delicatissima partita sul futuro dell’industria dell’auto in corso tra l’Europa e la Cina la preoccupazione resta alta su entrambe le sponde. E su quella cinese, per la prima volta dall’avvio da parte di Bruxelles, il mese scorso, di un’indagine anti-dumping sulle importazioni nei paesi europei di veicoli elettrici prodotti nella Terra del Dragone, un costruttore locale prende ufficialmente posizione. È la Great Wall, colosso da oltre un milione di veicoli all’anno con già all’attivo una joint venture con la BMW e un accordo con la società svizzera Emil Frey per vendere la berlina Ora e la suv Wey in Germania e in altri mercati europei.
L’EUROPA NEL MIRINO - “Abbiamo bisogno di un ambiente commerciale equo e aperto”, ha dichiarato ieri il presidente della Great Wall, Mu Feng, sul suo account Weibo, aggiungendo che il gigante dell’auto cinese confida di “poter vincere la competizione a livello globale". Nel sottolineare che l’Europa è “uno dei mercati strategici più importanti per Great Wall Motor”, Mu ha spiegato che l’azienda ha grandi progetti di espansione nel Vecchio Continente, dove punta a costruire presto una fabbrica. I paesi in lizza sarebbero l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Germania. In ogni caso, produrre veicoli in terra europea consentirebbe al colosso di Baoding come ad altre importanti case automobilistiche cinesi di dribblare i dazi che Bruxelles potrebbe imporre sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. Modelli, secondo l’Ue, venduti a prezzi stracciati, se confrontati con quelli degli equivalenti europei, anche grazie agli imponenti sussidi statali che sarebbero stati elargiti dal governo di Xi Jinping.
IL PUNTO SULL’INDAGINE - L’indagine avviata dalla Commissione europea non è circoscritta alle auto elettriche cinesi, ma si estende anche ai modelli alimentati a batteria prodotti in Cina da alcuni costruttori occidentali, tra i quali la californiana Tesla, la Renault e la BMW. Com’era logico attendersi Pechino, che punta ad assumere un ruolo di rilievo nel settore automobilistico anche in Europa e negli Stati Uniti, non è rimasta a guardare, recriminando sul fatto che Bruxelles non è in possesso di prove adeguate a supporto della sua tesi e che l’indagine non rispetta le regole stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio.