L'auto è stata guidata da me parecchie volte, per cui ne ho un ricordo piuttosto nitido. Diciamo che quest'auto, tra leve varie, sgommate e qualche tirata clandestina, è stata strapazzata più di ogni altra. Ma andiamo con ordine e partiamo dal motore: un'unità piuttosto tradizionale come architettura, con monoblocco in ghisa e 4 cilindri. Alla fine è un banale 2.0 con solo 145 CV a 6000 giri/minuto e 177 Nm a 5000 giri/minuto. La potenza specifica, comunque, non era male per l'epoca, idem il rapporto di compressione. Inoltre, aveva un margine di elaborazione piuttosto elevato. Resta da dire, peró, che anche con i 145 CV faceva una discreta figura: dava il meglio di sé agli alti giri, dove poteva contare su un buon allungo ed un temperamento quasi cattivo. Sviluppata tutta la potenza massima a 6000 giri/minuto, oltre quella soglia rimaneva un bel margine di giri fin quasi i 7000. Diciamo che in prima si riusciva tranquillamente a tirare la vettura entro quella soglia, mentre in terza marcia, aprendo il gas a fondo, la si poteva tranquillamente superare di un 100/200 giri. Purtroppo, la coppia in basso non era moltissima e sotto i 3000 giri era come dar gas a vuoto, ma del resto era tipico degli aspirati di quell'epoca. All'entrata in coppia, intorno ai 5000 giri o poco prima, era presente il classico calcio nel sedere, anche se se non così marcato come in altri aspirati degli anni '90. Mentre mano a mano che si saliva di giri, mano a mano questo 2 litri diventava sempre più robusto e cattivello quanto a spinta. Intorno ai 6000 giri, sembrava sviluppare addirittura qualche cavallo in più del dichiarato (del resto, era tipico dei motori giapponesi). Il sound, invece, non era granché con il sistema di scarico originale: andrebbe necessariamente cambiato. Parliamo del cambio: un semplice manuale a 5 marce con una corsa della leva un po' troppo lunga con quasi tutte le marce. La rapportatura era piuttosto ravvicinata e uniforme; anche la quinta di marcia, quindi, era piuttosto corta e di potenza. Mentre la frizione era pesante (com'è giusto che sia) e aveva una corsa piuttosto lunga: con il pedale completamente premuto, infatti, si arrivava a toccare quasi il pianale. Da segnalare, riguardo al cambio, un certo indurimento a freddo all'inserimento della prima marcia e della retro (quest'ultima non sincronizzata). Darei volentieri due numeri, anche se sono poche le testate che l'hanno provata: se non sbaglio, il dato di accelerazione è leggermente superiore a quello dichiarato e dovrebbe attestarsi intorno ai 10 secondi, decimo più, decimo meno. Riguardo all'autotelaio, invece, la prima parola che mi viene in mente per descriverlo è massima semplicità: l'architettura era a motore trasversale e trazione anteriore, quindi la ripartizione pesi era sbilanciata sul davanti; mentre le sospensioni erano a quattro ruote indipendenti con schema MacPherson, se non sbaglio. Nulla di eclatante, ma per lo meno si trattava di un progetto dedicato e non di un ricarrozzamento come accade oggi su alcune vetture... Diciamo che le trazioni anteriori giapponesi, salvo qualche eccezione come la Integra, non erano granché, almeno all'epoca. Non a caso, l'avantreno della Eclipse non era proprio "la punta del compasso": era abbastanza leggero, ma molto progressivo anche forzando il gas, e il limite di aderenza veniva trasmesso con una certa efficacia. Il posteriore, invece, era in discreta armonia meccanica con l'anteriore: i suoi movimenti longitudinali rimanevano sempre ben controllabili, nonostante soffrisse di una certa leggerezza e vaghezza nell'inserimento. Dato che la potenza in gioco non era moltissima, i pattinamenti erano piuttosto contenuti: giusto tirando la prima al massimo e forzando la sgommata in partenza, ma sempre entro certi limiti. Il bilanciamento tra il sottosterzo ed il sovrasterzo era abbastanza uniforme, nel senso: la tendenza era chiaramente quella di allargare la traiettoria con il muso (scontato per una tutto avanti), ma allo stesso tempo il posteriore poteva contare su una buona reattività che, al rilascio pedale acceleratore, garantiva una buona chiusura di traiettoria. In caso di sovrasterzo più marcato, comunque, bastava ripremere sul pedale del gas per riallinearla. E il tutto, anche senza tutti i controlli elettronici di oggi, avveniva con una certa facilità. Ovviamente, per via dell'assetto poco estremo, il rollio e il beccheggio in frenata erano abbastanza marcati, ma bastava qualche piccola modifica per risolvere il tutto.
Vediamo lo sterzo ora: un comando piuttosto sensibile e con una buona precisione e prontezza. È uno dei punti di forza della Eclipse. Sulla corona del volante si avvertiva come si deve ciò che succedeva sotto le ruote, a tutto vantaggio del feeling di guida. Mentre la consistenza, piuttosto pesante, era senza dubbio quella giusta. Ultimo appunto sulla guida i freni: il pedale aveva una corsa un po' troppo lunga, anche se era ben modulabile. Gli spazi di arresto mi pare fossero allineati con la concorrenza, ma nulla di più. Anche come potenza non era il top, sebbene potesse contare su quattro dischi con quelli anteriori autoventilanti. Dopo tanta guida, sarebbe il caso di approfondire anche il confort, ma in questo caso i giudizi che vi posso dare sono piuttosto vaghi. L'auto è sempre stata guidata (o quasi) con piede molto pesante, almeno da me, e di certo non c'è stata una grande attenzione per il confort. Posso solo dirvi che agli alti regimi la voce del motore era discretamente invadente nell'abitacolo, anche se con uno scarico diverso sarebbe stata sicuramente molto più cattiva. Il rapporto tra sospensioni e misura delle gomme era piuttosto turistico, per cui i cambi di fondo stradale, se affrontati a velocità per lo meno normali, non erano un problema. Sul consumo non mi esprimo, dato che con me alla guida se faceva 3 km/litro era già un miracolo!