IL POLSO DELLA FILIERA ITALIANA - Com’è lo stato di salute dei componentisti italiani, protagonisti spesso oscuri ma importantissimi per la costruzione dei veicoli? A fare una radiografia del settore ci hanno pensato la Camera di Commercio di Torino, l’associazione della filiera automotive Anfia e il Center for Automotive and Mobility Innovation - Cami dell’Università Cà Foscari di Venezia, che hanno sondato 477 aziende. Il quadro che ne esce ha diverse luci e ombre anche qualche sorpresa. Il primo dato è che la domanda delle automobili nel 2021 è scesa del 13% e che il Piemonte rappresenta da solo il 35% dell’automotive italiano. Tutto l’automotive, non solo quello nazionale, è chiamato ad affrontare sfide impegnative quali la trasformazione della mobilita (elettrificazione, guida autonoma, connettività) così come la scarsità che non è più solo dei chip ma riguarda anche le materie prime. Se una merce è rara allora aumenta di prezzo e questo potrebbe portare a inflazione e ad una erosione della ripresa di quest’anno. Ma la carenza riguarda anche le persone: queste trasformazioni implicano competenze evolute e si è rilevato che le aziende hanno difficoltà a trovare persone con le giuste abilità e anche a formare addetti già assunti.
AGGREGARSI CONTRO LE DIFFICOLTÀ - Anche la piccola dimensione delle aziende italiane non aiuta e quindi è necessario che le PMI si aggreghino, eventualmente sotto un “ombrello” di una delle grandi eccellenze italiane dell’automotive. La ricerca ha però trovato anche motivi di ottimismo, come l’azione che si sta compiendo per sensibilizzare il Governo, la creazione di un Polo per la Mobilità sostenibile e la Città Manifattura a Mirafiori, senza dimenticare che proprio a Torino ha sede il Centro nazionale per l’Intelligenza Artificiale legata all’automotive. Anfia ha poi rilevato un altro fattore critico nella Brexit, dato che per esportare nell’importante mercato del Regno Unito ci sono ora lungaggini amministrative anche se, grazie ad accordi specifici, si sono evitato dazi perniciosi. La carenza dei chip ha rallentato o bloccato le linee di montaggio e per questo Anfia ha ridimensionato a 1,5 milioni le stime 2021 per le vendite di auto in Italia, un - 22% rispetto al 2019 nonostante gli incentivi statali si siano rivelati efficaci anche se hanno creato un certo “effetto attesa” perché discontinui. Per fortuna il primo semestre 2021 è stato positivo, per l’indotto, sia per l’export sia per il fatturato anche se dopo marzo la crescita si è attenuata. La chip shortage impatterà ancora a lungo a livello globale, con 5 milioni di veicoli “persi” quest’anno e la previsione di perderne altri 8 nel 2021 e circa 1 nel 2023.
NECESSITÀ DI UNA TRANSIZIONE - Anche se la stangata ha colpito meno la Cina, le stime danno il 2021 con una produzione di automobili a +8% sul 2020, arrivando a circa 85 milioni di auto prodotte: un dato paragonabile a quello del 2013, subito dopo la crisi dei debiti sovrani. Anfia ritiene inoltre che l’ambizioso target europeo Fit for 55 (ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto ai livelli del 1990) sia molto difficile se non irrealistico e quindi invoca una riduzione progressiva, con obiettivi intermedi che seguano anche il cambiamento del mercato e azioni di sostegno per evitare danni economici e occupazionali alla filiera. È stato poi puntualizzato che la componentistica italiana è molto differenziata sul territorio, con l’Emilia-Romagna che concilia la flessibilità con la ricerca e sta seguendo bene la transizione. Il Veneto e la Lombardia esportano per tradizione verso Germania e, anche se in minor misura, verso la Francia. Il Piemonte è molto consolidato, ha eccellenze in vari settori e ha Università molto attive, così come la Toscana che soffre però di più il rischio delocalizzazione. Il Meridione ha pochissime realtà importanti, che dipendono poi troppo Stellantis ma in generale le aziende italiane del settore investono meno in ricerca e sviluppo di quelle estere. Si è anche visto che il Piemonte è allineato con il dato italiano per le aziende legate all’elettrificazione (il 47,5% delle aziende campionate) ma è più legato della media al motore a benzina (75,4% contro il 72,8% italiano) e a quello diesel: 83,9% rispetto alla media italiana del 77,9%. Lo studio ha anche esaminato le conseguenze della nascita di Stellantis, che ha per esempio creato nei componentisti la percezione di un baricentro delle decisioni che si è allontanato e un rischio per possibili cambiamenti nei volumi delle commesse. L’aggregazione che ha dato vita a Stellantis viene però vista anche come un’opportunità, ad esempio per la presenza del Gruppo su molti mercati.
LE OPPORTUNITÀ PER UN FUTURO MIGLIORE - Si è visto che il legame con l’ex FCA è ancora forte - è presente nel portafoglio clienti del 69% delle imprese (78% per i fornitori piemontesi) - ma è proseguita la contrazione dei ricavi delle commesse del gruppo FCA: 35,4% contro il 36,6% del 2019 e il 37,4% del 2018. Simulando un “effetto Stellantis”, aggiungendo le commesse verso il gruppo PSA, si vede invece un fatturato medio che sale al 41,7%. Per fronteggiare le difficoltà contingenti e quelle della transizione si è ribadito che occorre puntare sull’innovazione tecnologica e produttiva, sposando l’industria 4.0, sulla creazione di nuove competenze e di professionalità, adatte ad un contesto profondamente e velocemente cambiato e spingere per un “sistema di imprese” nel quale ogni realtà possa contribuire con le sue competenze. In effetti lo studio ha rilevato che l’85,7% delle imprese ha al suo interno personale laureato, con una crescita graduale: nel 2016 erano l’81,6%. Al contrario, la percentuale di imprese con risorse umane destinate alle attività di ricerca e sviluppo è scesa dal 72% del 2019 al 70% del 2020 a causa della pandemia. Il 55% delle imprese che hanno partecipato allo studio ha dichiarato di aver preso parte o di voler partecipare a progetti nelle tecnologie connesse ai nuovi trend del settore. Fra queste la maggioranza (il 77,3%) vuole formare risorse interne per acquisire le competenze occorrenti mentre il 58,9% pensa di assumere nuovo personale già in possesso della professionalità necessaria e il 47,3% pensa a collaborazioni o consulenze. Il 59% pensa che occorreranno competenze per gestire la produzione, il 53% pensa all’automazione, il 47% individuerà professionalità per sviluppo di software/applicazioni e il 45% nella ricerca di nuovi prodotti e materiali.
RIPRESA E NUOVI SETTORI - Nonostante i dubbi, la filiera si attende un anno di ripresa: oltre i due terzi delle imprese pensa che il loro fatturato crescerà, il 57,5% ‘vede’ aumenti degli ordinativi, il 56,5% pensa di aumentare le sue esportazioni e il 55% la propria forza lavoro. Si è visto anche una certa considerazione delle nuove tecnologie: al 47,5% già attivo nell’elettrificazione si aggiunge un 29,7% implicato con il Gpl mentre solo l’11,2% conta esclusivamente sui motori diesel. Da segnalare, inoltre, il 6,9% di rispondenti posizionati sulle fuel cells, una quota di gran lunga superiore alla presenza di questi powertrain sul mercato e che si ritiene quindi legato anche agli altri usi di questa tecnologia. Interessante anche il dato della produzione italiana di di vetture elettrificate: era lo 0,1% nel 2019, è salita al 17,2% nel tremendo 2020 mentre per quest’anno si stima un balzo al 39,8%. Basta pensare alle Jeep, con le consolidate ibride plug-in Compass e Renegade e la recente Wrangler e le diffusissime mild hybrid Fiat Panda e 500 e la Lancia Ypsilon per capire da dove vengono questi numeri. Se aggiungiamo le esclusive ibride Maserati Ghibli e Levante e la citycar 500 elettrica capiamo che la transizione produttiva, che implica anche una conversione della filiera, iniziata anni addietro, è già ben consolidata.