Il tachimetro misura la velocità del veicolo (dal greco tachys, velocità, donde altri termini quali tachigrafo, tachicardia e molti altri) ed è quindi uno degli elementi più importanti degli strumenti dei veicoli. È per questo che la legge lo ha reso obbligatorio per tutti i veicoli che superano la velocità di 25 km/h. In effetti l’obbligatorietà è stata scaglionata secondo le norme europee: le ultime categorie ad avere il tachimetro per legge sono stati i mezzi a 2 e 3 ruote (1º luglio 2001) e i ciclomotori, dal 1º gennaio 2002.
Questo strumento, che è obbligatorio per legge, permette al guidatore di sapere a quale velocità procede un veicolo. Ricordiamo che la velocità è espressa come il rapporto fra una distanza e il tempo impiegato a percorrerla: per i veicoli stradali si usa generalmente l’unità di misura chilometri all’ora (o miglia all’ora), abbreviata con km/h. Il tachimetro è uno strumento che ha attraversato una profonda evoluzione tecnologica, dato primo di grande serie è stato costruito nel 1923 dalla Otto Schulze Autometer e il suo design di base non è cambiato in modo significativo per 60 anni. Il principio di funzionamento è contare i giri della trasmissione all’uscita del cambio o direttamente i giri delle ruote: sapendo il numero dei giri e la circonferenza delle ruote è possibile estrapolare da queste quantità la velocità del veicolo.
I tachimetri sono stati magnetici per lungo tempo: un cordino flessibile collegato alla trasmissione metteva in rotazione un magnete affacciato a un disco metallico solidale sia all’ago del tachimetro sia a una molla a spirale. Il disco metallico tenderebbe a girare ‘seguendo’ il magnete con una forza proporzionale alla velocità di rotazione del magnete stesso - e quindi alla velocità dell’auto - ma la molla lo contrasta e quindi il disco (e l’indice ad esso solidale) si ferma in una posizione che è in equilibrio fra la sua tendenza ruotare e la forza della molla. Più è alta la velocità, più la forza del disco aumenta e più la molla è compressa, con l’indice che si sposta sempre di più sul quadrante.
Lo sviluppo dell’elettronica ha mandato in pensione cordini, magneti e molle, sostituiti da generatori di impulsi - collegati alla trasmissione o alle ruote - e contatori di questi impulsi: più la velocità è alta più gli impulsi saranno frequenti. In questo caso il tachimetro sotto gli occhi del guidatore è uno strumento che conta gli impulsi nell’unità di tempo (il loro numero in un secondo è proporzionale ai giri delle ruote) e calcola la corrispondente velocità per mostrarla al guidatore, pilotando motorini passo-passo in grado di ruotare per piccole frazioni di grado invece che con continuità. Questo dato puà essere visualizzato in forma analogica, con un ago che si sposta su un quadrante (eventualmente visualizzati in virtuale su un display, foto qui sotto), in digitale con cifre numeriche o in tutti e due i modi.
I tachimetri elettronici potrebbero essere molto precisi, ma non lo sono perché la loro indicazione dev’essere maggiore della velocità reale. Le autorità europee hanno infatti prescritto che la velocità indicata dal tachimetro non deve mai essere inferiore alla velocità effettiva in modo che non deve essere possibile superare i limiti di velocità a causa di un errore del tachimetro. C’è comunque un limite superiore: la velocità indicata non può superare il 110% di quella effettiva più 4 km/h. Se andiamo a 100 km/ora il valore indicato non può superare i 114 km/h mentre a 50 il tachimetro non può segnare più di 59 km/h.
Se un tachimetro meccanico non funziona più o la lancetta si muove irregolarmente il primo indiziato è il cordino flessibile che fa muovere il magnete. Se questo non è danneggiato allora il guasto può essere nello strumento stesso. Gli strumenti elettronici dovrebbero essere più longevi perché non hanno il punto debole del cordino flessibile. In caso di malfunzionamento è però complicato metterci le mani ma far fare (o fare, se si è capaci) una diagnosi elettronica potrà capire l’origine del guasto.