“Cosa è una lepre? Un coniglio Abarth!”. La battuta che circolava negli anni 60 connota molto bene l'attività della Abarth: rendere più veloci (molto più veloci) le auto "normali", con una particolare predilezione per le utilitarie. Fondata nel 1949 dall'ex campione austriaco di motociclismo Karl Abarth, che aveva rilevato il materiale della fallita Cisitalia con lo scopo di realizzare vetture da corsa, la casa diventò popolare negli anni successivi grazie ai propri sistemi di scarico sportivi: rifiniti come gioielli e con due terminali cromati, regalavano un pizzico di grinta (e un rombo sportivo) anche alla più umile delle vetture.
Con il boom economico arrivò in Italia la motorizzazione di massa, e con essa la voglia di rendere unica la propria auto, che nella stragrande maggioranza dei casi era un'utilitaria Fiat. Nacque così, alla fine degli anni 50, la “cassetta di trasformazione Abarth per Fiat 600”: un kit con il quale sostituire gran parte dei componenti del motore della piccola vettura torinese, maggiorandone la cilindrata a 750 centimetri cubi e raddoppiando la potenza. Un successivo accordo con la Fiat per la fornitura a prezzo di favore di auto prive di quelle parti che componevano l'elaborazione, consentì all'Abarth di proporre delle vetture complete, e a prezzi accessibili. Nacquero così le versioni sportive sulla base della 600 (Abarth 850 TC e 1000 TC, che arrivò a 115 CV nella sua versione da corsa più estrema, dotata di testa con valvole a V e due carburatori doppio corpo), 500 (Abarth 595 e 695) e 850 (Abarth 850, 1000 e 1300 OT).
Non soltanto le Fiat vennero sottoposte alla “cura-Abarth”: l'azienda torinese realizzò vetture sulla base delle francesi Simca e, in chiave agonistica e limitata alla sola fornitura della carrozzeria alleggerita, anche Porsche (con la 356B GTL). Oltre alle elaborazioni di auto di serie, la Abarth sviluppò molti modelli "in proprio", prodotti in pochi esemplari e - tranne rari casi - dalle caratteristiche estremamente sportive, o addirittura destinati solo alla gare. Citiamo al proposito le 750 Zagato e le 1000 Bialbero (basate comunque sulla Fiat 600) e le 1300 OT e 2000 OT (con alcuni componenti ripresi dalla Fiat 850), che oggi hanno quotazioni astronomiche. Nel 1971 Karl Abarth, italianizzato nel frattempo con il nome Carlo, si trovò costretto a cedere l'attività alla Fiat, che non era più disposta a concedere condizioni economiche di favore a un'azienda esterna. Da allora, il marchio dello scorpione contraddistinse le berline del gruppo Fiat più sportive, come le versioni più potenti dell'Autobianchi A112 (58 e 70 HP) e della Fiat Ritmo (125 TC e 130 TC); ma l'esperienza Abarth venne sfruttata anche per realizzare auto da competizione. Nella storica sede di corso Marche 38 nacquero modelli che vinsero titoli mondiali a raffica, soprattutto nei rally; citiamo le Fiat Abarth 124 e 131, e in seguito le Lancia 037 e Delta. Fu solo nel 2007 che la Fiat, finalmente consapevole del valore del nome Abarth in campo internazionale, decise di proporlo come marchio a sé stante. Come un tempo, lo Scorpione andò a ornare il cofano delle Fiat "incattivite" nell'estetica e infarcite di cavalli: Punto, Grande Punto, 500 e 124. Ancora oggi la saga continua, anche se lo Scorpione è passato all'elettrico con la piccola 500e da 155 cavalli e la crossover 600e da 280 cavalli.